C’eravamo lasciati col dominio Lakers nelle prime due gare; bene, cos’è cambiato dopo? Quasi tutto! Non nel senso che la serie si sia di seguito incanalata nel binario d’equilibrio, dato che gli Heat hanno continuato ad annaspare e soffrire le assenze dei match iniziali e i giallo viola sono stati costanti nel comandare il campo un po’ ovunque, sia sotto canestro, nella fisicità dei post, in regia e fuori dall’arco, bensì nella resilienza che gli uomini di Spoelstra sono riusciti ad inserire nel pacchetto Finals, unita – ovvio – a degli accorgimenti tattici fatti per lo più sui veloci cambi a zona, poi meglio organizzati.
Tale binomio ha trasformato una passerella di LeBron James e affini verso la gloria in una last series vera e ferocie, conclusa successivamente col termine più ovvio, il viaggio verso l’olimpo del prescelto e i suoi compagni, ma anche la conferma di Miami quale rocciosa squadra da vertice!
Gara 3
Jimmy Butler si erge a eroe (lo farà pure in seguito) di gara 3 con una tripla doppia magnifica da 40/13/11 e 14 su 20 dal campo, grazie alla quale darà ai suoi superstiti – tuttora privi di Adebayo e Dragic – una spinta estrema per farli rendere al meglio, riuscendo ad aumentare una leadership mai in discussione e frutto del viaggio ipnotico che ha portato a questo punto gli Heat e ad accorciare le distanze, con cattiveria e aggressività nella retroguardia finora carenti! Olynyk, a sorpresa, sarà il secondo violino di giornata. James, sempre eccellente (25/10/8), non potrà però contare stavolta sul contributo del partner in crime monociglio, primo colpevole della debacle, alla fine limitato a 15 punti e soprattutto 5 rimbalzi; prestazione questa che peserà sulla scelta futura dell’MVP, specialmente perché l’uomo a cui sarà il più delle situazione accoppiato è proprio Butler!
Gara 4
La vittoria di gara 4 per i Lakers aprirà loro l’autostrada verso il titolo, ma Miami darà anche qui filo da torcere, restando coesa fino al termine e in scia dei rivali, nella circostanza pregevoli in Davis, letteralmente padrone nei pressi del rim. Il rientro di Adebayo sarà vitale per limitarne un po’ il dominio, e i sei punti di distanza del 102-96 avranno nei tiratori dalla lunga Herro e Robinson unica alternativa alle accelerazioni e penetrazioni nel pitturato, ostruito appunto per la presenza del lungo ex Pelicans. L’8/16 di James a fine tabellino riabilita un inizio in sordina e condito di palle perse a ripetizione, frutto della pressione che i rivali finalmente sono riusciti a mettergli sul collo. Tuttavia sarà per l’ennesima occasione la sua di spinta tecnica ed emotiva a guidare il match nel lato L.A., bypassando le pregevoli performance di squadra da fuori, ovviamente in diminuzione, con la fisicità del comparto lunghi, ciò che in conclusione differenzia maggiormente i due roster, senza contare l’arguta regia di Rondo e i due assi stratosferici che da soli possono vincere le partite, cosa invece assente dall’altra parte e non di poco conto!
Gara 5
L’ultimo e stoico acuto degli Heat si avrà in gara 5, chiusa con le iconiche immagini di Butler piegato in due dalla fatica e Danny Green rammaricato per la bomba del sorpasso fallita, una delle molte che peseranno poi a bilancio nel penoso 14 su 46 giallo viola! L’ex Bulls lascerà sul parquet talmente tanto sangue e sudore che nel match successivo sarà scarico e al limite dell’esausto, un po’ come tutti i suoi compagni. Il riassunto del 111-108 sta sostanzialmente nei 35 pt, 12 rimbalzi, 11 assist, 5 recuperate, 11 su 19 e l’inarrestabilità dalla media, nonostante Davis attaccato alle costole e un LeBron ancora regale (40/13/7): cifre da brividi che danno l’idea se ce ne fosse ancora bisogno della grandezza di un superlativo leader maximo! Spoelstra non ce la farà a recuperare l’affranto e piangente Dragic e continuerà coi suoi “soli” 7 uomini fidati, fra i quali emergerà nelle vesti di secondo tenore Duncan Robinson con 26 punti e 5 rimbalzi.
Gara 6
La festa, qui pronta ad esplodere, sarà rinviata di un paio di giorni per gara 6, match privo di storia che come detto è stato giocato da un team senza più fiato ed energia, forse accontentato di aver portato alle lunghe una serie che per tutti – noi in primis – aveva già un padrone designato alla vigilia! Il 106-93 è un risultato bugiardo e simile a quello delle prime due partite, contraddistinte da un dominio a 360° in tre quarti per poi cadenzarsi in un finale a mo’ di garbage. Inutile riassumere l’impeto di un roster che con sette ottimi comprimari oltre al Big Duo ha messo in campo contro una compagine più corta e psicologicamente ormai deperita, nella quale i 19 minuti di Dragic sono serviti solo ad inserirlo a tabellino e rendergli onore. Più 8 nel primo quarto e 64-36 all’intervallo fanno capire i nostri discorsi, con James e Davis a intimidire a rimbalzo (29 combinati!), lasciando poi il proscenio a chi fino a lì era stato poco impiegato!
Finisce con James MVP delle Finals (unico a ricevere il riconoscimento con tre franchigie differenti) e campione NBA per la quarta volta sdraiato al suolo con mamma e famiglia al telefono, raggiante come un bambino, per poi effettuare la dedica di rito all’icona Black Mamba che non c’è più, le magliette di JR Smith – finalmente protagonista in qualcosa – strappate, i sinceri complimenti fra coach e nella pazzia generale qualche membro del team lasciato nel palazzetto. I Lakers torneranno anche in futuro a competere, questo è sicuro, almeno finché il fisico del prescelto si manterrà integro e dominante come oggi, mentre Miami col suo nuovo condottiero rientra di prepotenza nel gotha del basket mondiale!