Luca Banchi, esempio di cultura sportiva

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In un’estate dove la pallacanestro giocata è spesso stata messa in secondo piano da conferenze post partita che hanno relativizzato schemi e tattiche, che hanno riportato il Gioco lì dove deve stare, ovvero come la cosa più importante delle cose meno importanti della quotidianità, nemmeno la FIBA WC 2023 poteva esimersi. Dopo il “fallimento” di Giannis Antetokounmpo sono arrivati l’orgoglio di Royal Ivey, coach del Sud Sudan qualificatosi alle Olimpiadi di Parigi 2024 dopo un percorso oggettivamente clamoroso, e quello di Sergio Scariolo, per l’ennesima volta capace di mettere nella giusta prospettiva il bilanciamento tra risultati nell’immediato e visione nel lungo periodo. L’ultima in ordine di tempo, tuttavia, è stata la risposta post Italia-Lettonia di coach Luca Banchi riguardante il valore che il primo Mondiale dei baltici avrebbe assunto per l’intera popolazione lettone:

Alle nostre latitudini le parole hanno avuto la legittima risonanza non tanto, purtroppo, per le frasi in sé ma per il passaporto di chi le ha pronunciate. Banchi è italiano, cresciuto e formatosi come professionista e come uomo di sport in Italia, ma pare non aver nulla a che spartire con l’inutile e controproducente tossicità con cui si parla e si vive di sport nel Belpaese. Quando si parla dei vari cervelli cestistici italiani in fuga, che sono dovuti espatriare per completarsi (Melli, Fontecchio, Polonara, Procida solo per citare i convocati di Pozzecco per la kermesse filippina) ed esprimersi compiutamente come atleti, non si nominano dirigenti e tecnici.

Quanto è endemico il problema se persino chi dovrebbe gestirlo “dietro le quinte” e non sul palcoscenico si accorge che le condizioni non sono quelle di un ambiente sereno, equilibrato, efficiente, tanto da arricchire altri contesti che non siano quello italiano e desertificando il “nostro”?

La possibilità più grande che la Chat Premium di Backdoor Podcast su Telegram (per entrarvi, cosa che consigliamo caldamente, qui si trovano tutte le info del caso) offre a tutti i suoi membri è quella di raccogliere le visioni di addetti ai lavori, capaci di scavare in profondità in quanto avanti una conoscenza delle persone che tifosi e appassionati indicano banalmente come “allenatori”, “giocatori” eccetera. Su Luca Banchi e sulla sua statura professionale, così si sono espressi nell’ultimo biennio Peppe Sindoni e Nicola Alberani, uomini di pallacanestro che hanno maturato nel corso della carriera una visione a più ampio raggio rispetto a quella meramente italiana.

SINDONI (19 dic 2021): “A volte è sufficiente una scelta per uscire da determinati mercati. A mio avviso l’esperienza a Torino è stata negativa così come le tre successive (Bamberg, Kuban e AEK Atene, ndr). Non necessariamente per sue colpe. La qualità del suo lavoro è evidente… Accettando di lavorare in un contesto troppo emotivo e frenetico (e sono molto buono) come la Torino di quell’anno secondo me il suo status ne è uscito ridimensionato. Tra l’altro nei 4-5 mesi non fece particolarmente bene al netto delle difficoltà di ritrovarsi un giocatore nuovo in palestra ogni martedì perché il figlio del capo aveva deciso così.

ALBERANI (24 mar 2023): “Direi che è semplicemente di un altro livello. Sa mettere pressione senza urlare o dare di matto, ha una passione incredibile e l’energia di un ventenne. Sa arrivare al cuore e alla testa dei giocatori e ha una cura maniacale del dettaglio ma al tempo stesso fuori dal campo è tranquillo e rilassato.

ALBERANI (29 mag 2023, il giorno seguente all’interruzione del rapporto tra Banchi e Strasburgo): “Giustamente cerca un club ambizioso che voglia vincere. Luca non cerca un lavoro, cerca l’eccellenza o qualcosa che lo stimoli.

ALBERANI (27 ago 2023, già riportato su Starting Five): “Luca è un allenatore dai grandi valori, forse un po’ strani rispetto a quelli del giorno d’oggi. Basti dire che ha rifiutato un contratto da 400k per due anni al Baskonia perché gli chiedevano di mollare subito la nazionale, e lui non voleva tradire la parola data ai lettoni.

Quanto Luca Banchi sia l’eroe di cui la pallacanestro e la cultura sportiva italiana avrebbe bisogno ma non riesce a meritarsi, appare ora evidente. Un professionista che, legittimamente, richiede come presupposti per garantire la massima efficacia delle proprie competenze una base solida, lungimirante, che assicuri una stabilità nel medio-lungo periodo, a quante realtà cestistiche italiane può guardare con interesse? Potrebbe contarle sulle dita delle sue mani, sue e soltanto sue. Però la “colpa” delle scelte di Banchi non risiede nella sua mancata volontà di scendere a compromessi con le storture della pallacanestro italiana ma è da ricercarsi in chi e cosa, quel compromesso, lo chiede a qualsiasi figura professionale, che chiede al particolare di adeguarsi senza rendersi conto che sia il generale a dover dettare regole d’ingaggio più sostenibili.

Che sia un esempio, un “role model“, come ha descritto Banchi i suoi giocatori dopo la partita con l’Italia. Nel terzo quarto, durante un timeout, i microfoni della regia internazionale hanno catturato altre parole di Banchi, altrettanto importanti per la creazione di un quadro migliore a partire dai soggetti stessi. “Tornate a giocare seriamente, ve lo dovete!“. Farlo per sé stessi affinché lo si possa trasmettere ad altri, anche ai bambini che interrompono la giornata scolastica per guardare 10 uomini che cercano di buttare una sfera arancio dentro un paio di retine.

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