Quando si parla di All Star Weekend è difficile fare un discorso univoco nel quale si vada ad esprimere un giudizio tecnico o una affermazione di stile: si mescolano emozioni, ricordi e passione, perchè giocoforza si vedono in campo i campionissimi e le giocate che ne escono sono la dimostrazione lampante che anche ad altissimi livelli il basket è divertimento. Aspettando le prossime avventure, è bene soffermarsi sui ricordi e sui personaggi che hanno fatto un po’ della storia degli ultimi anni.
Non serve scomodare la gara del tiro da tre di un Larry Bird sornione o quella delle schiacciate dove Michael Jordan, fingendo di non sapere cosa fare piazza la schiacciata del secolo camminando nel cielo di Chicago, che sarà teatro anche delle gesta di questa stagione tra l’altro. L’All Star Game regala brividi se si pensa a protagonisti che in gare di esibizione del genere si esaltano e il primo nome che viene alla mente è quello di Jason Williams, ancora negli anni in cui non vi erano le divise East e West, ma si usavano i kit home e away delle squadre. I suoi passaggi e la sua visione di gioco sono indelebili, dal passaggio di gomito, ai no look e alle zingarate dal fascino unico, che fanno il paio con la gara delle schiacciate vinta da Jason Richardson in maglia Golden State Warriors e al ritorno da campione in carica su un piede solo di Voshon Lenard al Three Point Contest in cui non sfigura.
Guardando più specificatamente alle partite dei campioni, impossibile non registrare l’impatto che nel tempo hanno avuto specifici ragazzi sul gioco. Se Kobe Bryant diventa il giocatore straordinariamente competitivo che abbiamo conosciuto, molto passa da quell’agonismo che ha mostrato in maniera così sfacciata nelle gare delle stelle. Dalle sfide verbali con Jordan ancora paludato in maglia Bulls, all’ultimo confronto, quando ormai sua altezza era un Wizards, in cui la dialettica fra i due è una sfida a chi supera l’altro. E il Mamba avrebbe replicato questi simpatici siparietti anche con LeBron e Pau Gasol, in un challenge leggendario.
Nell’All Star Game si sono viste anche cose molto singolari che avevano lasciato sbalorditi: i “cugini” Tracy McGrady e Vince Carter hanno applicato alla grande dose di schiacciate e spettacolo una potenza inaudita, utilizzando anche il tabellone come migliore amico per autoassistersi prima della bimane, mentre singolare follia è stato vedere uno Shaquille O’Neal invecchiato, nella sua esperienza a Phoenix, prima deliziare il pubblico con una danza robot di grande fattura e poi prendersi il proscenio sul campo dove dimostrò lucidità e mani fatate con tanto di passaggio schiacciato in tunnel su Dwight Howard per andare a piazzare la schiacciata dopo uno scambio con un compagno.
Se però volete un personale ricordo di una gara che non verrà mai dimenticata, quella del 2001 batte ogni record. Di fronte all’Ovest dei grandissimi campioni e dominatori, c’è una squadra formata da 4 piccoli e Dikembe Mutombo in mezzo, che ha Carter e McGrady come ali, il che è tutto dire. C’è Stephon Marbury che la piazza dal parcheggio della Casa Bianca, visto che siamo a Washington e a 9 minuti dalla fine l’Est è sotto di 21 punti. Esce a questo punto dalla tasca Allen Iverson che prende per mano i suoi, inizia a creare gioco e porterà l’Est alla vittoria, prendendosi il titolo di MVP, in un match che in quegli ultimi minuti regala basket degno delle Finals.