Basket Sofa – Harden, il nuovo corso ed il “fachiro”

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Nuova grafica, nuovo corso e nuove tematiche da affrontare mentre i primi match della pre-season iniziano quantomeno a fornire nuovo materiale. La verità sembra essere ferma ad assunto: le buone squadre vincono, quelle che hanno cambiato tanto stentano e come sempre, il cenacolo dei campioni (molto spesso ancora fuori dal campo) domina… Basket Sofa non si rinnova nei suoi toni e le sue letture vogliono andare ancora di più nelle pieghe e nella psicologia del gioco, da analizzarsi fin dalle primissime palle a due di questa stagione. As always, enjoy your read and keep lovin’ basketball

NEW HARDEN’ MOVE

Non starà simpatico, lucra una montagna di tiri liberi, facendo imbestialire arbitri e difese, ma il talento di James Harden sul campo è indiscutibile e la voglia di migliorarsi è qualcosa di non comune. Se è vero che la squadra di Mike D’Antoni ha tesserato, per usare un eufemismo, Russell Westbrook, il quale non ha ancora esordito in maglia biancorossa, il nuovo corso degli Houston Rockets sembra essere ancora – e sempre e comunque – legato al Barba il quale ha incantato già nelle prime due partite. Nell’estate appena finita, Harden a precisa domanda dei cronisti aveva risposto di un nuovo movimento a cui stava lavorando e, quando proprio nell’incontro coi media, Russell Westbrook aveva parlato di “migliorare” il proprio eurostep, tutti erano convinti che si trattasse di un miglioramento di quel “passo” che tanto aveva fatto interrogare arbitri e tifosi. Poi arriva il match giocato all’Università delle Hawaii contro i Clippers – privi di George e Leonard, perchè i Clippers sono stati i re del mercato e si presentano con le superstar in borghese e sedute – ed eccolo: tiro da tre in equilibrio su un solo piede. O arriva la tripla o il fallo e i tiri liberi.

La tecnica è qualcosa che non è mai mancata, la fantasia è quel valore aggiunto che fa la differenza. Harden ha dimostrato che la ricerca del movimento e della perfezione sono qualcosa che va oltre vincere e perdere le partite. Il suo caricamento su un piede solo, un po’ cigno nero di Tchajkovskij, un po’ Superman in decollo, produce un significativo spostamento dell’economia dell’attacco dei Rockets. Resta da vedere come tale nuovo progresso si integri con i compagni di squadra, ma anche e soprattutto con il gioco di Mike D’Antoni, visto che in queste partenze e tiri degni di un Horse di qualità, si pensa molto poco alla ricerca dello spazio e della transizione. Cosa ancora dobbiamo aspettarci? E se davvero Westbrook, forse il più ostinato dei giocatori NBA senza aver vinto nulla, ha detto di voler imparare dal suo “nuovo” vecchio-amico, lo vedremo anche esibirsi in qualcosa di simile? Una volta erano i Blazers, la polveriera d’America, chissà che invece ora Houston possa raccoglierne l’eredità, e di razzi e fuoco ne hanno davvero tanti in Texas.

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INDIA GAMES 2019

Dopo aver decantato il nuovo movimento di Harden, che in certi versi ricorda anche l’equilibrismo e la pazzia degni dei Fachiri, un breve ma significativo arpeggio lo meritano gli India Games, ossia il tentativo da parte della lega di Adam Silver, di evangelizzare l’unica grande potenza economica mondiale a quel gioco che tanto fa appassionare. Se la storia di Satnam Singh, il cosiddetto one in a billion, aveva portato comunque i riflettori del popolo indiano sulla realtà NBA, quello che è stato il recente match tra Sacramento Kings – che la proprietà indiana la hanno pure – e gli Indiana Pacers – che l’India la hanno solo nel nome – è un passo in avanti. Singh, scelto al secondo giro del draft di qualche anno fa da Dallas, dopo qualche apparizione in Summer League e G League ai Texas Legends, ha scelto il Canada, giocando a St. John’s, ma il seme lasciato dalla sua storia è stato sicuramente accolto dal pubblico che ha riempito il palazzetto per questa sfida. Per la cronaca vince Indiana al Supplementare, ma quello che è il risultato raggiunto è incredibile.

Perchè forse gli USA non sono riusciti a far penetrare nel sub-continente asiatico il baseball (ed è ovvio dato l’amore per il cricket degli indiani) ed il football (che a queste latitudini significa calcio come in Europa), ma col basket si è raggiunto lo stesso risultato della “Evangelizzazione Mormone” in Australia negli anni 50 o, se preferite, l‘impatto che Michael Jordan ha avuto sul mondo cinese. L’India ha accolto alla grande la diversità della cultura americana e – con quella capacità che è solo di quei popoli – ha mostrato di fondersi appieno col gioco, magari non necessariamente capendone le regole. Poter contare anche su un nuovo bacino di mercato è di sicuro uno degli obiettivi dell’espansione del brand NBA e di sicuro, in quei luoghi, i capitali non mancano. Sarà una nuova frontiera?

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