Quando siamo al tempo dei playoff non c’è più spazio per le scuse, i se ed i ma e gli “avrei tanto voluto”. Conta solo il campo e la capacità di resettarsi ogni maledetta volta nel modo migliore. Le semifinali, Warriors permettendo, non hanno permesso nessuno sweep, ma hanno di sicuro lasciato tanto amaro in bocca su più fronti, una condizione a cui le “nuove” superstar sembrano essere poco abituate. Quasi che la mancanza di LeBron a sparigliare le carte faccia la differenza, in tutti i sensi. Basteranno le nuove leve e le ventate di emozioni dal sapore sconosciuto a farci dimenticare le tante lacrime che hanno accomunato le prime gare di questa settimana? As always enjoy your read and keep lovin’ basketball…
LA SAD FACE DI KAWHI LEONARD
Non regalava espressioni quando era alla corte dei San Antonio Spurs, era l’emblema della continuità di Duncan che non regalava sorrisi neanche con il trofeo di campione in mano. Quell’anno e mezzo fermo, di aver puntato i piedi, deve aver cambiato qualcosa in Kawhi Leonard apparso visibilmente contrariato durante gli ultimi scampoli di gara 3, persa ed in malo modo in quel di Philadelphia. Sconsolato in panchina, nonostante il suo sforzo importante, con lo sguardo perso nel vuoto alla ricerca di chissà quale segno. Sembra sempre essere tutto un mondo a parte quello che riguarda, con una squadra scollata e incapace di reagire colpo su colpo su “roller coaster” Embiid e su “Jimmy Bucket“. Una scena che ha accomunato Toronto in queste prime tre gare della serie, con Gasol che sembra essere deleterio al gioco di coach Nurse, Lowry incapace di reggere questi ritmi e Ibaka passato in un momento da essere prima stella a riserva. La frustrazione è visibile in Siakam, che dopo una stoppata subita da Embiid gli rifila da terra un calcione, beccandosi un flagrant one, che, specie se il reo fosse stato Draymond Green, ben sarebbe potuto essere di tipo due. Cosa manca a Toronto? Serenità.
Si dichiarano i “Re del Nord” ma la furia del grande inverno sembra non resistere nelle lunghe primavere ed estati della post season. La squadra di coach Nurse ha in Loenard il suo unico punto di riferimento, questo anche perchè gli stravolgimenti del GM Ujiri hanno spezzato e non poco gli equilibri di una squadra in crescita. Un all in che si è bruciato da solo, stando a quello che il campo mostra. Il dato è ancor più eloquente se si considera che Philadelphia ha fatto altrettanto investendo su “Zio” Thobias Harris e rinunciando a parecchio per avere un quintetto di 5 all star (volendo essere generosi con Ben Simmons), eppure alla corte di coach Brown, i giocatori sembrano aver capito meglio lo spartito tecnico. Redick tira, Butler fa il suo mestiere, Harris è pronto a portare profondità e Joel Embiid fa il resto, con Simmons a orchestrare il tutto. Toronto piange, Philadelphia può davvero approfittarne, per la gioia di un Allen Iverson che, look a parte, sarebbe pronto a mettersi la divisa e scendere in campo per il trasporto che sta mostrando alla sua ex franchigia.
INGIUSTIZIA ARBITRALE E PIAGNISTEI
Di solito la volpe dice che l’uva è acerba quando non ci arriva, ma quando si parla di acerbitas arbitrali, l’invidia è relativa. Quando in gara 1 Houston è sbattuta sui blocchi e non ha “potuto” lucrare tiri liberi da falli onestamente fischiabili, ha subito un contraccolpo psicologico che è stata autentica manna dal cielo per i Warriors, che si sono presi il palcoscenico e hanno saputo chiudere con merito e bravura, spostando la serie in Texas senza sconfitte di sorta. Quello che però sembra essere finito nella testa dei giocatori di coach D’Antoni è il raziocinio, perchè anche i temi di gara 2 non sono stati dissimili, seppur in una gara sostanzialmente diversa. Tra l’espulsione di Chris Paul, gli occhi iniettati di sangue di Harden e la immancabili proteste di coach Mike, la serie sembra scorrere in un piagnisteo continuo, con gli uomini in grigio visibilmente più protagonisti di quel che doveva essere.
Doveva essere le serie delle “caviglie scavigliate” di Curry e Thompson e della “Garra” di Draymond Green, ma sembra invece che questi temi siano ampiamente eclissati da polemiche e dalla certezza che Golden State, ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, riuscirà a portare a casa la vittoria. I Rockets sembrano aver abdicato al proprio spirito combattivo, come se sentissero di mancare di qualcosa, di un’aura di protezione che afferisce solo ai rivali e questo è l’argomento più pesante che si può portare in dote in spogliatoio la squadra con la giubba rossa sulle spalle. Sta forse in questo la grande forza della squadra di coach Kerr: saper uscire a testa alta dalle situazioni e, una volta guadagnato un vantaggio, saperlo sfruttare appieno a proprio piacimento. Gara 3 potrebbe essere lo spartiacque decisivo, in un contendere che non avrà per protagonisti solo i giocatori, ma anche e soprattutto i fischietti: ci sarà un cambio di tendenza rispetto ai primi due atti della serie, oppure si resterà permissivi di fronte a contatti al limite regolamentare?