Basket Sofà-serie tv: Stranger Things NBA e Casa di carta europea

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In questi torridi giorni di mercato da serie tv, con acquisti e trattative di grido dentro e fuori dal campo, sia nel continente americano che in quello europeo, può essere utile e interessante andare a scandagliare non tanto la firma di questo o quel giocatore quanto invece il modus operandi di varie squadre e le ripercussioni, fiscali e legali, che possono riverberarsi dietro un annuncio. Di sicuro queste parole non hanno lo stesso sapore del cuoio e lo squittio delle scarpe sul parquet, eppure è nei meandri di tutto questo caravan serraglio che si decidono e non poco le sorti delle franchigie e di quegli scambi, in stile trade e non solo, che danno compiutezza ai roster che accenderanno la prossima stagione. Non c’è il nostro classico finale da I love this game, anche se lo abbiamo appena detto, ma sicuramente un Just do it or un Impossible is nothing sapranno fare altrettanto il loro effetto.

NBA

STRANGER THINGS (…IN NBA)

L’NBA non è certo solo la cittadina di Hawkins nell’Indiana, ma il modo in cui le trattative di questa free agency sono state gestite ha sicuramente del “sotto-sopra”, di quella mano invisibile di Adam Smith (che non è l’ala vista a Caserta e Venezia) che ha mosso, in maniera più o meno evidente, giocatori da una parte all’altra, tra conferme, smentite, appelli e campagne elettorali. Se solo qualche anno fa la lega impediva il passaggio di Chris Paul – guarda un po’ sempre lui c’è, manco fosse Will Byers – ai Los Angeles Lakers con una mossa epocale che aveva fatto storia, le cose quest’anno hanno subito una slavina di emozioni di non poco conto. Tra scambi nel sottopassaggio, altri annunciati su Twitter (e non solo dal Woj e i suoi soci e colleghi) e giocatori che scelgono, cambiano idea, si fanno annunciare e poi vanno altrove, non si può dire certo in questa estate sia mancata la fantasia, ma servirebbero sicuramente dei super poteri psichici per poterne venire a capo con razionalità.

Le parole – o meglio il veleno – che Lakers e Raptors hanno profferito sull’affaire Kawhi Leonard, ha contribuito e non poco a scoperchiare il Vado di Pandora. Premesso che la faccia di Ballmer che presenta Kawhi e Paul George con un sorriso sornione sarebbe valsa anche una qualsiasi manovra scorretta o fiancheggiatrice, il fatto che ci siano stati (presunti) accordi verbali o preaccordi ha spostato la lancetta del tempo indietro di 20 anni o forse più, ai tempi di Juwan Howad e Joe Smith, alle loro firme ballerine e rinunce epocali che avevano dettato i nuovi termini per le attuali contrattazioni. La cosa ha avuto così tanto rilievo che la riunione – manco si dovesse affrontare il Mind Flyer – è avvenuta con immediatezza tra tutti i proprietari in quel di Las Vegas, per la gestione del prossimo mercato free agent. Interessante e autorevole la posizione di Michael Jordan, che parla non solo come owner di Charlotte ma anche come esponente dei “Diritti dei Lavoratori” – neanche fosse “aquila pelata” che traduce i russi – il quale vorrebbe una maggiore trasparenza da parte di tutti. Interessate in maniera pesante – e ci mancherebbe – la proprietà dei Bucks che vuole tenersi stretta Giannis Antetokoumpo per il 2021, ma che vuole evitare le strategie che altri club potrebbero mettere in pratica per rubarlo. Tranchant la posizione di Houston, che ne ha ben donde di trade e di ufficializzazioni nell’ultimo mese: nessuna restrizione dal secondo in cui sono finite le Finals, mercato libero ma nessuna fonte di trasparenza, si tratta nell’ombra. Adam Silver, neanche fosse il Jim Hopper della situazione, prende calma e aspetta, scruta l’orizzonte sapendo che nuovi “casi di stato” Durant e Irving possono avvenire, che non serviranno i voli strappalacrime di Curry per appianare le spire di un mercato sempre più al veleno e che, se davvero la riforma di Houston fosse in atto, di sicuro si inizierebbe a fare trade sottobanco già durante i playoff, cosa che di sicuro rovinerebbe lo spettacolo come uno spoiler del finale di stagione, che viene annunciato dai protagonisti già alla terza puntata.

LA CASA DI CARTA (…IN EUROPA)

Non sarà stato il “Professore” né il gran fracasso della polizia ma la Rivoluzione è in atto. Al di là degli arrivi eclatanti dal mondo NBA – Teodosic e Monroe su tutti-  che testimoniano quanto la lega americana stia perdendo il suo appeal sul lungo periodo, anche il mercato nel vecchio continente sta perdendo il controllo sulle esternazioni che agenti e giocatori fanno prima, durante, e dopo, questo o  quell’annuncio. Neanche ci fosse la crisi alla banca di Spagna, la situazione ha un che di emergenziale, in quanto non è solo il livello tecnico ad alzarsi ma anche e soprattutto il livello delle cattive abitudini. Il programma del Professore- Naismith- se n’è andato a farsi benedire da molto tempo e l’anarchia regna sovrana.

I tweet da sedotto e abbandonato di Mike James e della sua chiacchierata/ non chiacchierata con Ettore Messina hanno mostrato un lato oscuro delle trattative nel vecchio continente che fino a poco tempo fa appariva del tutto impossibile. Il fatto che lo stesso playmaker si sia fatto portavoce della bontà della squadra e del progetto con altri “futuri acquisti” (Aaron White) rappresenta un primo pericoloso passo verso una deriva di non facile sbroglio. Come il piano di “Palermo” non convince il Professore, così i cinguettii di MJ sono sintomatici di una linea del mercato che si fonda su provocazioni, soffiate presunte di agenti e recruitment a mezz’aria che hanno poco a che vedere con la trasparenza del movimento.  Certe volte conta più il “far sentire”, creare una falsa pista, che deve fare la differenza e in questa opera neanche la pur brava ispettrice saprebbe mettere mano. Quale la soluzione? Difficile fare ipotesi, ma le firme che stanno preparando la prossima eurolega, colpi da 90 che faranno strabuzzare gli occhi (da Fredette ad Ayon solo per citare gli ultimi) sono sintomatici della “noia” già palesata da Teletovic sull’appeal del massimo campionato statunitense, fatto di up and down.