Quando arriva Marzo, è sicuramente tempo di accantonare le solite tematiche NBA per spostarci al piano di sotto – per così dire – della NCAA, perché è tempo di March Madness, di quel basket viscerale e più vicino alle nostre latitudini, che forse meglio di altri ha mantenuto intatto lo spirito dato al gioco dal professor James Naismith. Non si parlerà di questo o di quel ragazzo, di questo upset o di quella squadra, quanto invece di un innegabile attributo del love of the game, che in questo caso non assume toni del tutto rosei. Sono gli “hated” ossia quei giocatori che non si fanno amare dal pubblico avversario e da qui la domanda: fino a dove può arrivare una rivalità? As always enjoy your read and keep dreamin’ basketball…
DUKE UBER ALLES: LAETTNER, REDICK, G.ALLEN
Se c’è un ateneo che porta lo stendardo di quelli “mostly hated” un motivo ci deve essere: possono essere davvero le più disparate del perché l’America tutta sia contro i Duke Blue Devils di coach K, se non altro perché hanno una maledetta tradizione di vittorie a ripetizione e sono uno dei college più ricchi dell’intero paese. Se ci fermiamo al basket, di solito hanno i migliori prospetti che poi nella NBA fanno le onde – non a caso Zion Williamson e R.J. Barrett stanno vestendo la canotta in blue navy in questi giorni – giocando una pallacanestro asfissiante e basata sul fisico, motivo per il quale chiunque li affronti – e non ci riferiamo solo a UNC – ritiene di essere defraudato di qualche fischio. Da Duke sono usciti tre dei giocatori più odiati della storia del basket: in ordine temporale, Christian Laettner, JJ Redick e Grayson Allen.
Laettner, che è stato un recordman NCAA, nonché nel dream team del 92 a Barcelona, è colui che ha aperto la strada, un po’ per il suo look da ragazzino viziato un po’ per il suo atteggiamento sul campo, col famoso “pestone al petto” su Amuni Timberlake nella finale contro Kentucky. A sua discolpa va detto che molto di quell’odio fu instillato dalla stampa sul suo essere un simbolo “bianco” contro il mainstream dell’epoca, ma se arrivò anche allo scontro col suo playmaker, a suon di sfottò, qualcosa di vero doveva pur esserci. Se Duke andò in 3 finali e gli tifarono sempre contro, un motivo ci doveva pur essere.
Per quanto riguarda JJ Redick, la sua fama è andata crescendo con la sua intelligenza cestistica che ancora oggi è apprezzata anche in NBA. Movimento studiato in uscita dai blocchi, tiro immediato e palla che si imbuca nel cesto, incessantemente. Una macchina da catch and shoot che si è andata perfezionata col tempo e che è stata plasmata da coach K, che con lui ha usato bastone e carota, facendolo diventare un asceta di quel movimento fino alla perfezione, ma anche e soprattutto un emotivo che non deve lasciare che niente lo influenzi, anzi. Per lui che è soprannominato “ghigno” per quella sua mono-espressione alla Derek Zoolander ogni qual volta che imbuca, il college fu un vero incubo, non che non se la sia andata a cercare: agitava il tre ad ogni conclusione, restando con la mano alta alla Kobe, e ad ogni canestro un boato di fischi se non si è in casa. Gli han rubato e diffuso il numero di cellulare e in poche ore ha ricevuto messaggi di odio da tutti i college d’America, gli han insultato familiari e quant’altro, ma lui è rimasto fermo e puntuale, un metronomo.
Grayson Allen, che oggi riceve pochi minuti in quel di Utah da coach Snyder, ha preso il testimone, seppur con un ruolo cestistico diverso. Era un uomo di difesa e di fisico, uno di quei dirty player che hanno scatenato risse, polveroni e che escono sempre puliti dopo le gare. Odiato ovunque per il suo carisma e il suo modo, col tempo è diventato padrone della Duke cestistica, allargando le spalle (e spesso anche i gomiti) e conducendoli, in barba agli insulti che riceveva, ad ogni allacciata di scarpe.
MARSHALL HENEDERSON: QUANDO L’ODIO FA DERAGLIARE IL TALENTO
Una storia che andrebbe raccontata a dovere è quella di Marshall Henderson: tutto e il contrario di tutto, dentro e fuori dal campo. Una girandola di college, da Utah a Texas Tech (dove non avrebbe mai messo piede in campo), poi al Junior College di South Plains ed infine a Ole Miss, dove la sua leggenda sarebbe sbocciata, tra triple ed esultanze colorite – per così dire – che ne avrebbero fatto un giocatore odiato a qualsiasi latitudine. Questa crescente sfacciataggine, unita ad una non irreprensibile vita fuori dal parquet, con varie sospensioni per consumo di stupefacenti, non solo lo avrebbero portato lontano dai palcoscenici NBA, ma anche da quelli del basket professionistico. Purtroppo il carattere non può essere domato del tutto ed Henderson ne ha pagato le conseguenze, con l’odio ed il pregiudizio nei suoi confronti che ne hanno offuscato il talento.
NOWDAYS: VILLAINS OF THE YEAR 2019
Se guarderete al torneo NCAA e cercherete i più odiati della corrente stagione, ecco le due candidature, una dovuta ad un talento “triplista” tutto baltico e l’altra alla scelta di un college anziché un altro: due storie diverse ma che si sostanziano in continui urli di disapprovazione, a cui, per fortuna, i due ragazzi han saputo reagire, usando gli stessi come motivazione.
Per Ignas Brazdeikis, di Michigan, le percentuali dal campo non sembrano essere il problema, visto che tira con oltre il 42% dalla lunga distanza. Il problema sono le esultanze, tra baci alla platea, mano tesa e un’aria da divo del cinema che fanno a cazzotti con lo spirito di chi perde. Il ragazzo ha ammesso di sentire le grida di disapprovazione, ma di usarle a suo vantaggio perché “non c’è cosa più bella che zittire una folla che ti disprezza senza un motivo”. Non male per un ragazzino, che comunque ha ammesso di ispirarsi alla filosofia delle arti marziali orientali che ha appreso dal papà.
Per Tyler Herro, ala di Kentucky, la scelta di non andare a Wisconsin – città natale – sembra essere una condanna. Dalle scritte sul giardino di casa, alle minacce dal benzinaio, agli auguri di rompersi una gamba o di finire sotto un tir schiacciato: sembrano assurdità ma sono il peso che il ragazzo, tra l’altro uno dei prospetti più interessanti dei biancazzurri, si è portato dietro tutta la stagione. Tra ortaggi lanciati contro casa e familiari, cartelloni giganti con serpenti e parole come traditore, quello che pesava di più sembrava essere il pregiudizio che quelle persone stessero avendo sul suo futuro: “starai seduto a Kentucky due anni senza giocare”. Herro ha preso tutto questo e ha deciso di metterlo nel suo bagaglio tecnico, cercando lui di farsi odiare di più per quello che avrebbe messo sul campo, e di qui eccolo invece capace di vincere gare per coach Calipari, diventare un difensore coi fiocchi e poi sparire nel nulla quando si tratta di dover parlare o dare opinioni. Un tipetto sicuramente interessante, che ha solo margini di miglioramento, nonostante quello che il resto del mondo potrà dirgli…