Ogni tanto, in periodi di magra – dove le amichevoli delle nazionali e il mercato la fanno da padrone – si può tranquillamente fare un passo indietro e affrontare una tematica importante, che accomuna lontanamente Backdoor Podcast a The Athletic di cui stiamo per parlare e che tratta la qualità e la quantità di un pezzo giornalistico, la sua “economicità” e se può esserci un ritorno. La domanda ed il leit motive che accompagnano sempre la fine del nostro preambolo, stavolta cambia in maniera radicale e si rivolge a tutti gli appassionati di cultura sportiva: “Sareste disposti a pagare per un servizio giornalistico che sia differente ed innovativo?”. In Italia si è ancora lontani da questo concetto, ma negli USA la questione si sta ponendo in maniera seria e articolata ed i dati economici e tecnici sembrano andare in controtendenza con quello che si potrebbe pensare.
IL FENOMENO THE ATHLETIC
Pensate ad una notizia appena fresca di agenzia, ad una storia di un giocatore che magari ha dovuto sgomitare per affermarsi a o a un contenuto di recap o interviste su una partita appena conclusa. Quanti siti o pagine Facebook potete consultare? Una marea. Paghereste per un sito che vi propone una notizia che potreste trovare – gratis – altrove? La risposta è sicuramente no. Se però il contenuto fosse ricercato, l’analisi non convenzionale e la ricerca si dovesse basare su qualcosa di assolutamente unico, la risposta dell’utente potrebbe cambiare. Forse non a delle latitudini dal braccino corto, ma la società americana sembra aver rivoluzionato tale assunto, come dimostrato dal sito The Athletic, che ha appena raggiunto i 600.000 utenti che sottoscrivono un abbonamento mensile e/o annuale e possono usufruire di contenuti dietro le quinte, in esclusiva, e di analisi che non si limitano a una semplice cronistoria di una gara.
Come hanno affermato i vertici del sodalizio giornalistico, l’obiettivo è quello di raggiungere il milione entro i prossimi 6 mesi, ma tale numero sembra destinato a crescere in maniera esponenziale? Come spiegarsi questo numero? Il contenuto paga certo i dividendi e anche se il guadagno netto per sottoscrizione di ogni singolo abbonamento è sui 60 dollari per la startup innovativa nel campo giornalistico, il fatto che tanta gente scelga il prodotto significa che un sistema del genere può funzionare. Ma vi è di più. Siamo portati a pensare alla passione per il giornalismo e non ad un lavoro ben remunerato, salve le canoniche eccezioni. La maggior parte dei siti o delle pagine gratis, per così dire, ha tanti collaboratori che si cimentano col giornalismo, che non sono pagati per farlo, e che – spesso – stereotipano un contenuto preso altrove. Senza voler citare la battaglia dei like, dei mi piace, dei commenti pro bono, delle piccate risposte ai leoni da tastiera e simili.
La vera forza di The Athletic sta nell’avere corrispondenti professionali, che non sono giornalisti da sede fissa, scrivania e appunti, ma che sono professionisti nel settore, nel cercare le notizie, i dietro le quinte che non si vedono sul campo, nell’avvicinarsi a storie e contenuti che diventano privati, che vengono gelosamente custoditi. Non la solita minestra trita e ritrita, ma un lavoro di ricerca che continua nel tempo. Si è iniziato con gli sport americani, la diffusione ora si è estesa a oltre 50 città ed ora, come già fatto da altre agenzie americane (vedi Bleacher o la stessa Espn) si tenta il grande salto nel mondo anglosassone, con il tentativo di fare un lavoro analogo con la Premier League del calcio. Chissà che sorvolare l’oceano non possa portare queste idee anche alle nostre latitudini, anche se – a modesto parare di chi scrive – in un paese calciofilo come l’Italia è difficile che i santoni o i custodi della tattica permettano a dei professionisti di avvicinarsi così tanto al lavoro quotidiano (e se pensiamo solo alle miriadi di polemiche e censure che ci sono state dietro lo speciale sulla Juventus calcio realizzato da Netflix si può avere un riscontro pronto ed oggettivo).
E L’ITALIA?
Senza citare alcuno, rischiando di dimenticare, i siti italiani sono lontani da standard non tanto quantitativi quanto qualitativi del servizio giornalistico. Esclusiva è riservata a poche fonti e nel basket penso all’agenzia specializzata nel mercato – Spicchi d’Arancia – che con cadenza settimanale aggiorna il settore ed i fan con acquisti e rescissioni. Bel servizio e in molti casi pieno di esclusive, gratuito, che se fosse spostato con una cadenza più frequente sicuramente potrebbe essere pagato dall’utente interessato. Altri siti, o blog, si limitano al recap o ai risultati delle partite, molto interessanti ma niente che non si trovi altrove. Storie di basket, di cui anche questa rubrica si occupa: chi ne racconta di strappalacrime, chi di sentite da questa o quella parte, chi prova a collegarle a qualcosa: per questa tipologia di uscite, se c’è autenticità e lavoro di ricerca si può pensare ad un lavoro di esclusiva, quindi ad un pay, se si tratta di cose risapute, decisamente no.
La nuova sfida, in cui siti – come anche Backdoor Podcast – specialisti devono muoversi, non è più neanche la grande chicca, quella notizia che nessuno ha, quanto invece, anche a parità di argomento, trattarlo in maniera diversa. Fornire una lettura audio, integrarlo con contenuti personalizzati, lasciare che l’anima del gioco rimanga viva in quelle parole o immagini, e non si limiti ad un’esaltazione di chi produce, come spesso capita. Questo è una tipologia di servizio per cui si dovrebbe – e non solo potrebbe – pagare. Il problema è che la qualità e la differenza costa, in tempo e fatica, e senza mezzi economici di un magnate appassionato è dura avere standard altissimi. Poi diciamoci la verità, se si hanno tanti corrispondenti remunerati che fanno un buon numero di pezzi, sicuramente si ha tanto da offrire al pubblico, se però il numero dei pezzi di qualità si riduce perché – per esigenze varie – qualità non significa quantità, la situazione “italiana” viene fuori nella sua essenza: una testata con tanti contributor che, anche con 10 righe o alle volte meno, possono trattare qualsiasi cosa dall’NBA al campionato Uzbeko, cattura in maniera più pregnante l’attenzione del lettore medio, che quindi si sposterà verso il generalista per cui non deve sborsare un centesimo.
RITORNO AL CAMPO, DOVEROSO… CON DEVIN BOOKER
Nella querelle che abbiamo affrontato, sembra doveroso chiudere con un paradosso che ricalca la questione giornalistica con le vicissitudini del campo, stavolta quello di allenamento. Devin Booker giocava una gara di esibizione, con persone poco identificabili, viene raddoppiato in angolo e dopo qualche contrasto sbotta come una pentola a pressione. In Nba già lo raddoppiano a dovere, si legge dalle sue parole, negli allenamenti il giocatore dei Suns vorrebbe meno pressione, e le reazioni solidali di Durant e di Trae Young (che si sente già in grado di dare sentenze nonostante sia un sophomore) fanno capire che non è l’unico a pensarla così. Poi dalla sua spiaggia caraibica, con cocktail in mano e sigaro d’ordinanza, ecco che Gilbert Arenas spara a zero con la sentenza dei giocatori che si lamentano e di quelli che trovano soluzioni, citando come esempi Iverson e Bryant, che di certo tra allenamento, partita vera e finanche la carta del cestino della camera non si sarebbero lasciati fermare neanche dai buldozer. Ed allora ecco ritornare la domanda: è meglio essere un buon giocatore, onesto mestierante, che non deve subire tutta questa pressione, oppure si deve essere delle superstar col rischio di infelicitarsi la vita con uscite come questa? La risposta è nelle scelte, sempre e comunque… Così come si può scegliere di pagare un servizio di qualità, di affidarsi a ciò che non costa o di cercare vie traverse, spesso illegali. Contano le persone e le loro menti, sempre e comunque, al cuor non si comanda, ma una cosa resta chiara: keep lovin’ & playing basketball…