Succede di sincronizzare sveglia, ore di sonno e mixarle con la passione per un gioco che non smetterà di stupirci o farci innamorare. Erano in tanti a vedere la partita stanotte, tra i messaggi e i commenti in live che fanno vibrare in continuazione il cellulare e la certezza che anche un commento mattutino – rispettabile e puntuale – sarebbe rivelatosi solo uno spoiler per chi dormiva beatamente. Le Finals non sono la pallacanestro, sono uno sport a parte in cui tutto si decide con qualcosa di imponderabile. Gara 4 va Toronto che espugna, per la seconda volta in 4 giorni, la Oracle Arena. Golden State è spalle al muro, sotto 3-1 nella serie (e sotto un camion emotivo per come è arrivata a questo punto) e deve ribaltare inerzia e punteggio in Canada, dove però ha già dimostrato di poter vincere. Basterà? Sarà interessante scoprirlo, ma gara 4 è appena finita e vale la pena sempre analizzarla con lo spirito da I love this game tipico delle colonne di Basket Sofa…
TEMPO PRIMO: PRELUDIO
Sembrava la gara del riscatto per Golden State, con Klay Thompson e Looney sul campo e un brio diverso dei ragazzi di coach Kerr. I Warriors hanno il pallino del gioco mentre Toronto spara a salve e sembra aver dimenticato le percentuali da sogno di gara 3. Fino a che la difesa dei padroni di casa regge e continua a cambiare, per i Raptors non restano che tiri a bassa percentuale, e se anche arrivi il classico jumper piedi per terra con spazio, la spadellata è dietro l’angolo. Vista alla fine, alla truppa della baia di manca la capacità di chiuderla, perchè il tiro da tre non entra con continuità (solo Klay muove il tassametro) e nonostante un vantaggio che arriva anche in doppia cifra, i canadesi sono sempre a contatto, lì, a mordere caviglie e polpacci.
Leonard non è nella sua serata da ministro della difesa, anzi. Dopo qualche giro di incomprensione ballerino, capisce che deve mettere a frutto la sua esperienza, in un gioco di sguardi che coinvolge anche Danny Green e Serge Ibaka, non a caso due che qualche apparizione alle Finals la possono vantare. Kawhi ne mette 14 in un primo tempo difficile per i viaggianti, in cui non sono mai stati sopra nel punteggio. Arringherà la squadra nell’intervallo per spronarla a cambiare atteggiamento e si dimostrerà – ancora una volta se ce ne fosse stato bisogno – molto più di un leader da massimo salariale. Verrebbe da dire che la stessa cosa la fa Durant, ma si potrebbe cadere in errore, e quando alla fine delle conferenze stampa rimane ai giornalisti il cerino in mano alla domanda sul rientro o sull’infortunio di KD, si capisce in maniera nitida che qualcuno non sta dicendo la verità, o si sta omettendo qualcosa.
SECONDO TEMPO: JURASSIC PARK
Non so se Steven Spielberg apprezzi la pallacanestro, e comunque se lo avesse fatto avrebbe magari tifato una delle squadre losangeline forse, ma il tripudio al rientro sul parquet è quello di una Toronto scatenata che non ha voglia di fare prigionieri. Lowry è al servizio dei compagni, Kawhi Leonard entra con due tiri nel secondo tempo che spazzano mentalmente dal campo gli avversari, Ibaka sembra essere tornato il lungo eclettico e dinamico dei tempi di “Air Congo” e Danny Green quel soldatino imprescindibile in difesa e telecomandato – qualche anno fa – da Greg Popovich. Quando a tutto questo si aggiunge che Golden State in difesa si perde, il gioco, partita, e incontro è bello che deciso. Klay Thompson è il motivo per cui i Warriors hanno portato a casa qualche anello. E’ lui il punto forte della squadra, quello che dà tempi e spazi alle rotazioni in difesa e permette alla truppa di Kerr di tenersi a galla. Il basket non è fatto però di singoli. Curry in difesa si dimostra un telepass, Green è più nervoso e nevrotico del solito e quando Toronto fa circolare la palla ed inizia ad alzare le sue percentuali, lo scarto tra le due squadre si allarga. In tutto questo continua lo show balistico di Kawhi Leonard, che cerca sempre il cambio sul blocco, in modo da liberarsi della marcatura del buon Klay sopra citato: poi, chiunque gli finisca davanti, se lo mangia letteralmente.
Il quarto periodo è figlio della frustrazione di Golden State che vede la partita sfuggire di mano in maniera netta. Green, che in attacco aveva sparato a salve nell’arco della gara, mette un mattone fondamentale alla vittoria, Siakam torna ad essere un fattore in vernice, ognuno fa la sua parte e c’è qualche minuto di garbage time, cosa impensabile alla vigilia. Finisce 105 – 92 ed i dati del tabellino sono indicativi: ci sono 36 punti (11/22 dal campo) e 12 rimbalzi per Leonard, Siakam ne mette 19, ma soprattutto ci sono i 20, dalla panchina, in 21 ‘ sul parquet di Serge Ibaka, chirurgico quando serve. Per Golden State, Thompson a parte, 28 punti e 6 delle 8 triple di squadra, poco altro nell’armadio. Non illudano le stats di Green (10+9+12) o i 27 punti di Curry (9/22 dal campo), perchè forse tra i meno peggio c’è solo Looney, anche lui reduce da infortunio, che dalla panchina porta punti, intensità ed energia. Serviranno, forse, se coach Kerr vorrà provare qualcosa di diverso per riprendersi un minimo di inerzia in una serie che, conti alla mano, appare segnata.
INTANGIBLES
Vi aspettereste un arpeggio per qualche giocata, si potrebbe sicuramente citare questo o quello, ma vale la pena invece evidenziare come un brutto gesto poteva cambiare la gara. Gomitata assurda di Shaun Livingston a Fred VanVleet. Senza scendere nel dettaglio sulla volontarietà, la giocata appare frutto di quella voglia disperata di riagganciarsi alla gara in un momento storico in cui tutto sembrava perso e compromesso, una situazione che ti porta a metterci quella foga ulteriore. Il giocatore di Toronto, che ha riportato un brutto taglio allo zigomo e ha perso un dente, ha ricevuto subito la solidarietà dei tanti tifosi lì presenti alla Oracle Arena – delirio anche in tutto il Canada, con caroselli in giro per le strade – ma soprattutto il solito intervento – stavolta ben accetto – di Drake, che ha offerto al ragazzo di pagare le spese mediche con la sua assicurazione sanitaria. Bel gesto, senza dire oltre.
Se però ci soffermiamo sulla parte positiva, quello che resta è una foga smodata e un nervosismo che stanno attanagliando Golden State a cui, come è fisiologico nei periodi di fine ciclo, sembra stia sgretolandosi il cemento sotto i piedi. Il nervosismo di Green in gara 4 è un altro evidente segnale, che fa il paio con l’affaire tra Lowry ed uno degli azionisti Warriors che era seduto in prima fila. Ecco, se si era criticato tanto Drake che, da buon cantante, si era fermato alle parole per gli avversari ed ai “massaggini” per il suo coach, le scene della Oracle Arena dimostrano in maniera inequivocabile che anche al netto di stare sotto 3-1 nella serie finale, a Golden State manca più di un giocatore infortunato o di altro sul campo. Un ambiente abituato a dominare e che, improvvisamente, non sa reagire alla sconfitta. Non è l’Ungheria del 54′ del calcio, la squadra d’oro, ma ci va molto vicino. Ed il parallelo tra Toronto e quella Germania Ovest operaia, guidata dal carisma di Fritz Walter e dal talento eclettico di Helmuth Rahn, è davvero possibile…