Questa settimana che ci conduce al weekend delle stelle, non è stata avara di emozioni, anzi, ci regala degli spunti di cronaca interessanti per il prosieguo della stagione, quando le cose inizieranno a farsi più interessanti e le notizie del trash tenderanno sempre più a scemare rispetto alla cronaca, ai numeri e alle letture, tanto care alla nostra rubrica. La morale sottesa ad ogni nostra puntata è sempre e comunque la stessa: enjoy your read and love basketball…
JORDAN G.O.A.T.
Quando si vanno a fare le convocazioni e arriva l’All Star Game, sono frequenti le voci che citano gli assenti o che vanno a sottolineare le statistiche dei singoli. Si è parlato, dal momento che le “celebrities” sembrano essere collocate tutte nel selvaggio West, di cambiare la formula che vede contrapposte le conference nelle selezioni, per passare ad un sistema meritocratico indipendente dalla maglia di appartenenza. Sono tre i giocatori che stanno levando le grida di meraviglia del pubblico americano: Paul George, Russel Westbrook e James Harden. Partiamo dai due di OKC (che intanto si è assicurata Markieff Morris nell’ennesimo lampo di genio di Sam Presti) e iniziamo col dire che tutti coloro che mischiano i record dei Thunder con quelli dei Seattle Sonics in realtà mischiano la lana con la seta. George è a conti fatti una macchina completa da pallacanestro, che corre, segna, difende come pochi nella lega e che porta tanta legna al gioco di Oklahoma City. La sua serie positiva è coincisa con una crescita esponenziale della squadra, che ha perso solo due gare nelle ultime 12, issandosi al terzo posto della Western Conference. Se guardassimo il rapporto tra stats e rendimento della squadra, sarebbe MVP della lega a mani basse, ma tutto ciò può bastare? E veniamo alla querelle tra Harden e Westbrook, che sono i due volti di una medaglia in cui la produttività (specie offensiva) si fonde con una spiccata personalità. Harden continua la sua marcia di partite ad altissima produzione di punti, Westbrook ha 11 triple doppie di fila, superato anche il record di 10 che apparteneva a Wilt Chamberlain. Cosa manca a questi due per essere due “grandi”? la risposta è pungente come solo quella del Greatest of All Time sa essere:
Mi chiedete se sia più difficile mantenere una striscia di punti così lunga o tante triple doppie di fila, bella domanda… Sicuramente la cosa più difficile è vincere 6 titoli di campione NBA…
Michael Jordan non lascia intentato un filo d’erba e, di fatto, ha ragione. Non sappiamo cosa ne pensa il buon Bill Russell, che pur in una pallacanestro di altra epoca, aveva finito le dita per gli anelli. A lui però vanno i più sentiti auguri per le 80 candeline spente qualche giorno fa.
IL KERR FURIOSO
Golden State è una pentola a pressione. Macina vittorie, con “Boogie” al comando sembra aver trovato la giusta quadratura, ma nonostante le vittorie che l’hanno portata di nuovo a battagliare coi Nuggets per il primo posto a Ovest, sembra che qualcosa non fili per il verso giusto. La dimostrazione arriva dalla sfida con i Portland Trail Blazers di qualche giorno fa, in cui, Steve Kerr, con la squadra sotto nel punteggio, esplode una rabbia repressa che non si era mai vista dal suo arrivo nella Baia. Due tecnici in sequenza e l’espulsione per una fase di gioco rotta che sì, arrivava in un momento cruciale della gara, con i suoi sotto nel punteggio, ma che poteva essere gestita meglio. Altri indizi sembrano confermare la cosa. Timeout di una gara precedente, Cousins che tende a dire sempre la sua rimane contrariato da una scelta disegnata sulla lavagna e fa una sorta di suo timeout pensando a qualcos’altro. La reazione è una terza via che porta a una palla persa. Durant era sbottato qualche settimana fa, il suo rapporto con Draymond Green sembra deteriorarsi sempre più e dell’orso ballerino nelle geometrie di squadra, sembra essersene persa traccia in maniera definitiva. Se ci aggiungiamo che Thompson è più abulico del solito nelle ultime gare, col solo Curry a tirare la carretta si potrebbe arrivare corti al salto finale: quale la medicina possibile per la più perfetta macchina da pallacanestro degli ultimi anni di NBA?
TRE SUPPLEMENTARI
Sembrava la sfida del cartone giapponese “Holly e Benji” tra la New Team e la Muppet, con i supplementari in loop fino allo sfinimento. Non era una sfida di cartello e per questo è stata a dir poco ostracizzata e ignorata dai media, ma per agonismo e passione, sarebbe un film di quelli da rivedere sino alla nausea per chi ama la pallacanestro. Da questa sfida si traggono alcune interessanti conclusioni: D’Angelo Russell è davvero un signor giocatore e sicuramente qualcuno a Los Angeles potrebbe stare a rimpiangerlo. Brooklyn, che comunque è sempre tra le 8 dei playoff a Est, è una squadra in ascesa, con tanti giovani in rampa e che, se a posto fisicamente, può essere a dir poco fastidiosa. Se a questo talento ci aggiungi poi due “attributi” di peso notevole come Carroll e Harris, allora si capisce perchè Brooklyn è – e resterà – la squadra del cuore di qualsiasi appassionato della palla a spicchi. Sprazzi di vitalità anche da parte di Cleveland, che avrà un gruppo ancora acerbo e inesperto, ma che sta valorizzando un altro play ex Lakers, come Jordan Clarkson, un Marquese Chriss che dalla panchina è roba buona e sta trovando numeri e continuità da Colin Sexton, forse giudicato acerbo troppo presto. Se consideriamo che a roster, seppur inattivi, c’erano T.Thompson, JR Smith e Kevin Love, ossia tre quinti del quintetto delle finals, si capisce che forse è pur vero e gigantesco il cartello “Lavori in Corso” ma che la luce in fondo al tunnel non è poi così lontana. PS: le divise cavs arancio-blu sembrano un omaggio, neanche doveroso, a quelle dei Knicks, ma finora hanno un solo punto di continuità con la squadra della grande mela: la striscia perdente.
NEW ORLEANS: JAZZ E PARTENZE
Prima che la franchigia passasse a Salt Lake, era New Orleans a ospitare i Jazz, e ben si capisce l’assonanza del nome con la città quando invece non risulta che vi siano caratteristici pellicani in zona. Le ultime settimane hanno acceso i media sulla Louisiana, anche e soprattutto per Anthony Davis, che era stato tenuto a riposo, per evitare qualsivoglia tipo di problemi in vista delle trade. Eccolo che però, chetatesi le acque, che il ragazzo ritorna sul parquet e, combinazione, si infortuna alla spalla, uscendo anzitempo nella sfida della scorsa notte contro i Thunder. Che forse era meglio tenerlo in naftalina fino a giugno? Intanto la gestione del caso “monociglia” miete la sua prima vittima. E’ il Gm Demps, licenziato qualche ora fa dai Pelicans. Non ha accettato l’offerta giusta o forse si è fatto sfuggire la situazione di mano?