Blazers-Thunder: una sfida che è andata oltre il campo

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Pressione? No amico, sto solo giocando a basket.

Come non introdurre questo scritto con le parole di colui che ha deciso questa serie. Campione. Iconico. Fenomenale. Predestinato. Clutch man. Chiamatelo come volete, ma Dame ha iniziato questa avventura ai playoff veramente con il botto. Un vero e proprio man on a mission si è preso sulle spalle, fin da gara uno, la propria squadra ed è riuscito nella grande impresa: riportare Portland in semifinale di Conference, a cinque anni di distanza da quel canestro sulla sirena con cui pose fine alla serie contro Houston.

Lo scontro con Westbrook:

Come ben sappiamo, OKC- Portland è stata una sfida nella sfida. Non solo due città, due organizzazioni, due franchigie a confronto, ma anche due campioni. Sto parlando di Damian Lillard e Russell Westbrook. Nessuno di noi sa il momento esatto nel quale è scattata la scintilla tra i due, qual è stato il primo bambino cullato o il primo orologio indicato, ma possiamo con certezza affermare che questo trash talking non è dispiaciuto a nessun tifoso NBA, rendendo così la serie ancora più interessante. Russ e Dame non sono antagonisti, bensì le rispettive nemesi: due giocatori con un passato burrascoso in quel della California, competitivi al massimo e troppo simili per diventare nemici. Entrambi hanno il numero zero dietro la propria maglia – nel quale si racchiude il mito della sottovalutazione e, quindi, l’orgoglio e la grinta di dimostrare a tutti di essere i migliori- ed entrambi capitati in due squadre non sempre elitarie all’interno del mondo NBA.

Ma io una piccola ricostruzione l’ho, comunque, fatta: già da gara 2 la tensione era quasi all’apice. Le due squadre, seppur la serie fosse da poco iniziata, sapevano di giocarsi il tutto per tutto. Portland senza la propria bestia bosniaca aka Jusuf Nurkic e i Thunder con un incognita chiamata PG13 ed una squadra troppo dipendente da Westbrook. Le difese strette del numero zero di Oklahoma prima e di Schroeder dopo sui portatori di palla dei Blazers hanno condizionato molte scelte di Lillard&co. che si sono visti costretti ad alzare la propria intensità e creare un gioco fatto di inserimenti veloci e uscite dai blocchi.

Sempre a gara 2, ad inizio secondo quarto, c’è stato un timido battibecco tra Morris e Collins che ha trovato il suo culmine al cambiare dei propri interpreti. Lillard risponde con la stessa difesa di Russell e, a 2 minuti e 43 secondi al termine del primo tempo, nasce il primo scontro tra i due. Vittima del “gioco di Dame”, Russell cerca nelle seguenti partite di rispondere, aiutato dal proprio compagno Schroeder- che ha aggiunto ulteriore pepe alla serie-, alle provocazioni del playmaker di Portland.

Continua la diatriba in gara 3 dove, con la stoppata di Westbrook ai danni di Lillard a inizio terzo quarto. La stella di OKC si rivolge quindi al pubblico, gridando qualcosa dopo la giocata. Parole che non sono piaciute a Lillard, il quale ha risposto, dando vita a un primo battibecco. Sul possesso successivo, Westbrook ha segnato un canestro con fallo di Lillard, festeggiando con il celebre “gesto della culla” nei confronti del suo avversario, che dal canto suo ha solo abbozzato un mezzo sorriso.
Ma il tutto viene poi ammutolito da quella tripla allo scadere che ha deciso, a gara 5, la serie e che ha posto fine alla stagione di Oklahoma.

 I punti di forza di Portland:

Hanno iniziato la propria avventura ai playoff con la grande assenza di Nurkic. E la domanda che mi sono fatto da inizio post-season è stata la seguente: questa mancanza li impedirà di andare in fondo? E la risposta è un convinto no!
Tralasciando la serie contro OKC, Portland, dall’infortunio della “Bosnian beast” (25 marzo) ha vinto 7 partite su 9, mantenendo il terzo posto ed il terzo attacco della lega. Non basta? Il gioco che si è reinventato Terry Stotts dipende dagli esterni e dalle uscite dai blocchi del portatore di palla o del giocatore per cui è eseguito il gioco d’attacco, prevalentemente gli stessi Lillard o McCollum e dagli scarichi ad Aminu e Curry. Un gioco, quindi, molto veloce che nasce da necessità. Chiaramente questo non toglie merito a Kanter: ottima pedina offensiva che toglie del peso alle già dormi responsabilità di Lillard, che può contare di un +6.2 di plus/minus quando è in campo. 

Thunder: what happened?

L’irruenza di Westbrook, le due pedine inamovibili di coach Donovan Ferguson e Grant e l’aggressività di Schroeder non è bastato ai Thunder per aver la meglio su Portland.
Inutile sarebbe dare tutte le colpe a una forma fisica di Paul George non ottimale e una difesa non da manuale sul tiro finale in gara 5 di Lillard.

Due appunti sulla difesa di George: è chiaro che se un difensore sta incollato ad un attaccante che ha deciso di fare ball-hogging a 10 metri dal canestro per 15” (da 18” a 3”) fa già un errore in partenza, perché consente all’attaccante di batterlo in palleggio. George non ha sbagliato, quindi, nella difesa del tiro: Lillard è semplicemente stato troppo bravo a metterlo.

Analizziamo la sua stagione: da supereroe (35 punti di media nel mese di febbraio, 50% dal campo a dicembre e 45% da tre a gennaio) ad incognita (fasciata): 49% di percentuale effettiva e il 34% da tre in 18 partite. George in questa serie non è mai sembrato capace di trascinare i suoi alla vittoria.
Forse era meglio se non avesse mai giocato? Come ho detto prima, incolpare un unico giocatore per una sconfitta è abbastanza stupido, ma questo dato può strappare qualche sorriso. L’assenza dal parquet di Paul George in Regular Season ha beneficiato un certo Westbrook che si è vista aumentata la sua influenza (17.4 di PIE dopo l’All Star Game contro il 16 stagionale), migliorando le sue percentuali al tiro e diminuendo il numero di palloni gettati al vento. Il tutto ovviamente mentre accatastava triple doppie. Ricordiamo il 20-20-20 registrato a San Antonio?

Da quanto visto la franchigia di Oklahoma avrà un futuro dal momento in cui capirà che Westbrook non può sempre decidere le partite e non può perennemente prescindere dalle sue giocare e, cosa più importante, se vuole costruire intorno alla propria stella, deve anche metterla nelle condizioni di circondarla da giocatori di pallacanestro. Perché, se ci si fa caso, l’80% delle azioni dei Thunder passano solo ed esclusivamente dalle mani di George, Adams, Westbrook e Schroder, quando è chiamato a far rifiatare il numero zero.

Un gioco abbastanza piatto che trova il suo apice nei pick’n’roll e che non riesce ad essere imprevedibile, a meno di una trovata del diavolo californiano.