Josè Calderon e l’NBPA: ” Assistenza ai giocatori capillare e nuovi obiettivi”

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Calderon NBPA

Backdoor Podcast è stata una delle pochissime testate a essere stata invitata dall’NBPA a un evento organizzato assieme a Jose Calderon, entrato a far parte dell’organizzazione per dare una visione dall’interno dello spogliatoio per capire quali sono le esigenze, i bisogni personali e i lati umani meno noti dei giocatori. In sostanza l’associazione giocatori che fa capo a Michelle Roberts, ma che ha anche il nostro Matteo Zuretti al suo interno, sta investendo molto tempo e soldi nell’assistenza ai propri associati.

Si è parlato anche di un argomento piuttosto attuale ovvero Delonte West, che l’associazione sta assistendo con grande attenzione da New York e che vuole ristabilire quanto prima. L’estrazione sociale, le storie personali e i luoghi di nascita dei giocatori sono i più disparati in una nazione come gli Stati Uniti così eterogenei.
Oltre all’assistenza diretta o indiretta e alla preparazione dei nuovi giocatori al mondo NBA ci sono stati anche altri punti all’ordine del giorno:

  • Distribuzione delle partite in diverse lingue: l’obiettivo dell’associazione è quello di divulgare il prodotto e le partite NBA mettendole a disposizione in quante più lingue sia possibile. L’NBA è il gioco più globale di tutti e serve una distribuzione, per così dire, comoda a tutti gli appassionati di tutto il mondo.
  • L’assistenza alle famiglie dei giocatori: è stato proprio Calderon a testimoniare quante differenze di assistenza ci sono ora rispetto a quando lui è entrato nella NBA, non solo dal puto di vista del singolo giocatore sulla gestione dei patrimoni, ma anche nella formazione della famiglia e degli entourage nell’amministrare uno sbalzo di reddito così importante.

Dopo di che abbiamo anche potuto scambiare due parole proprio con Josè:

Come è stato il tuo impatto con l’NBA?

Duro perché sono passato dal giocare 35 minuti a partita a essere un rookie e giocarne zero. L’inserimento degli europei era molto più difficile e graduale, quindi mi sono dovuto adattare per poter fare il mio percorso. Oltre a questo l’aspetto più difficile a cui adattarsi rispetto all’Europa è stata la velocità. Il ritmo è molto più alto e sebbene il gioco sia lo stesso, i tempi di esecuzione sono molto più rapidi.

Che differenza hai riscontrato nella formazione di giocatori e squadre tra Europa e NBA?

La differenza più sostanziale è la logica di formazione. In Europa si insegna a creare un sistema di squadra e a mettere a disposizione del gruppo i propri talenti, mentre negli States hai molta più capacità fisica e atletica, una quantità incredibile di ragazzi che possono segnare 40 punti, ma che una volta messi all’interno di un contesto di squadra non rendono come potrebbero.

Chi è stato il giocatore più difficile da marcare?

Non c’è dubbio, Allen Iverson. Una roba pazzesca.

Infine parliamo della tua Spagna campione del mondo. Te lo aspettavi?

Di certo questo non era il gruppo più talentuoso che abbiamo avuto negli ultimi anni, ma il gruppo e la coesione ha colmato quello che mancava. Sono tutti amici, giocano da sempre tra di loro e hanno una grande familiarità e si divertono. Questi sono gli ingredienti del successo.