La notizia della firma, in piena simbiosi con quello che è il trend di questa sessione di mercato, è di quelle altisonanti, con l’ennesimo profilo di pedigree NBA che firma in Europa, stavolta nel campionato italiano. DeJuan Blair è un nuovo giocatore della VL Pesaro, un colpo che, se il ragazzo sta bene fisicamente, può spostare e non poco gli equilibri. Anche e soprattutto per un dato che contraddistinto tutta la carriera del ragazzo di Pittsburgh: magari sarà il più undersize tra i pivot, ma il gran cuore che si ritrova lo fa essere quella tipologia di giocatore che si desidera sempre nella come compagno e mai come avversario.
NO ACL… WHAT???
Quando arriva nella NBA – ancor prima nel mondo del basket collegiale – parlano per lui la sua taglia fisica, sia per altezza che per girovita, nonché un dato che risalta ben evidente agli occhi dei medici: gli mancano entrambi i crociati anteriori, operati, non curabili e pertanto rimossi in due diversi interventi ai tempi della High School, quando era uno di quelli che spostavano gli equilibri. Eppure la chiamata di San Antonio, con la 37^ scelta, arriva puntuale e quando Pop alla prima partita legge uno scout da doppia doppia (che lo inserisce assieme a Duncan e Robinson come gli unici a riuscirci alla prima in maglia Spurs) e qualche settimana dopo anche una gara da 20+20, si capisce che nonostante le premesse, il ragazzo di talento, ma soprattutto di animo, ne ha da vendere. E non potrebbe essere altrimenti…
PITTSBURGH, THEN TEXAS…
Cresciuto in un quartiere di una città in cui le piastre di amianto si staccano ancora dalle scuole, vivendo a 600 mt da quello che sarebbe stato il suo college, la sua vita è una lotta di dare e avere, come con quei crociati anteriori. All’inizio non riusciva nemmeno a camminare, poi la muscolatura che si è formata spontaneamente e la sua determinazione nel voler ricominciare da zero finanche a camminare, lo hanno portato a tornare ad essere un giocatore di basket, uno di quelli che poi riceve tante borse di studio per College di prima fascia. Talmente tante, che lo stato confusionale e la crisi di nervi sono dietro l’angolo, distrugge il suo cellulare scagliandolo dalla finestra in una crisi di rabbia ed indecisione, con Tennessee che sembra la favorita. Mamma e papà, ex giocatori di basket, gli lasciano libera scelta ma è l’intervento della nonna materna che lo avvicina a coach Dixon. Resta di fronte casa, gioca a Pittsburgh che ha bisogno di sostituire Aaron Gray, e nei suoi due anni al college riesce a fare numeri, cifre e a ritagliarsi un posto che, nonostante tutto, merita nella NBA.
Con gli Spurs, e col sistema Spurs, riesce ad esprimersi, fino a che il lockout non lo porta dalle parti del basket europeo. In quel frangente Splitter e (il ritorno di) Boris Diaw restano più intimi con Pop e complice anche qualche infortunio, DeJuan passa un po’ nell’ombra, con le parentesi poco felici a Dallas prima e a Washington poi. Non si arrende e non demorde, gioca un po’ nelle minors americane, con sprazzi di Portorico e la chiamata dalla Cina dove i suoi numeri sono notevoli. È il cavallo di ritorno per la G League e non è un caso che ritorni proprio in Texas, dove ha mostrato di poter ancora dire la sua. Ora Pesaro.
HILL DISTRICT HEART
La chiave di lettura di un ragazzo che ha combattuto tanto, sta nel fatto che ovunque sia andato, non ha mai cambiato la propria personalità, restando vicino alla propria comunità, parlando ai giovani delle scuole e non circondandosi di lussi o sfarzi, anzi, facendo di necessità virtù nel dare una mano, sia alle comunità di Pittsburgh che tra San Antonio e Dallas. Perché in fondo non è il talento che lo contraddistingue, quanto invece la sua forza di volontà di essere “il ragazzo uscito dal Hill District di Pittsburgh” – citando le parole di coach Dixon – che non porta sul campo numeri o giocate, ma è un “pacchetto completo” che sa fronteggiare le avversità e trovare – ancor meglio far trovare anche ai suoi compagni – il giusto modo per venire a capo di un problema. E per una squadra come Pesaro – che di ex San Antonio, leggasi Austin Daye, e di pescate del genere se ne intende – che deve lottare con le unghie e con i denti per la salvezza, un ragazzo del genere può essere davvero un’aggiunta di peso per potersi ritagliare un posto al sole.