Davide Moretti, giocatore della Victoria Libertas Pesaro targata Carpegna Prosciutto, ha parlato ai nostri microfoni rilasciando un’intervista nella quale ha descritto questa stagione e le esperienze precedenti della sua carriera, ma ha anche parlato delle ragioni per cui ha firmato a Pesaro e quanto suo padre sia stato una persona importante nel suo percorso di crescita.
– Ti sei trasferito da Milano a Pesaro, due realtà molto diverse, quindi un parere su questa stagione fino ad ora?
Fino ad ora è stata una stagione movimentata e per nulla facile perchè siamo andati incontro a molti cambiamenti sia per quanto riguarda i giocatori che la guida tecnica.
Sono cambiamenti che incidono, ma siamo in un buon momento e stiamo iniziando ad ingranare, quindi questa è la cosa più importante e ciò che è successo nel passato resta nel passato.
Ora ci concentriamo su di noi, su questo buon momento e sul fatto che vogliamo continuare ad imporre il nostro gioco anche nella prossima partita.
– Hai iniziato la tua carriera da professionista in Italia per poi trasferirti in America tornando infine qui: quali sono le differenze tra il basket USA e quello italiano?
Le differenze sono prevalentemente sul piano tecnico e atletico: qua si gioca in modo molto più tecnico, di spaziature, di letture, di schemi in cui è molto importante anche l’aspetto difensivo e si è legati molto di più agli schemi rispetto a quello che ho incontrato io in America.
Mentre dall’altra parte dell’oceano il basket è molto più atletico e più basato sull’1 vs 1 e sulle doti individuali per creare situazioni di gioco.
– Come hanno influito gli anni in America nella tua crescita? Sia come persona che come giocatore?
Hanno influito tantissimo e sono stati tre anni importantissimi per me sia come persona che come giocatore.
Il mio primo anno in America è stato per me il più difficile di tutti perchè non giocavo tanto quanto avrei voluto, ma non ne ho fatto una colpa a nessuno e mi sono chiuso in palestra per poi vedere i risultati nel secondo e terzo anno.
È stato un anno molto importante per me perchè ha forgiato la mia mentalità facendomi crescere e aumentando la mia esperienza per aiutarmi nell’eventualità che mi fossi ritrovato in una situazione simile.
Come persona vivere dall’altra parte del mondo da solo e in una cultura diversa è un qualcosa che ti arricchisce e mi ha aiutato a diventare la persona che sono oggi. Il fatto di essermi messo a confronto con una realtà, una mentalità e una cultura diversa mi ha aperto molto la visione e la mente, quindi è stata un’esperienza importantissima per me sotto tutti i punti di vista.
– Quanto la presenza di tuo padre ha influito nelle tue decisioni e nel tuo percorso per diventare un giocatore professionista?
Mio padre è sempre stato molto presente nelle mie decisioni, in quanto io gli ho sempre chiesto dei consigli, il suo punto di vista e il suo pensiero, ma non ha mai deciso per me, anche se il suo pensiero era molto importante in tutte le decisioni che ho preso; è sempre stata la persona con cui parlavo di più e con cui mi confrontavo di più per parlare dei pro e dei contro di qualsiasi situazione.
È stata certamente una figura importante, lo è anche oggi e lo sarà in futuro.
– Tornando a questa stagione: quali sono state le principali ragioni che ti hanno portato ad accettare la proposta di Pesaro?
La principale ragione per cui ho scelto di venire a Pesaro è stata la possibilità di rimettermi in gioco e scendere in campo di nuovo in questo sport che amo tantissimo e di avere maggior spazio e opportunità.
Questa è stata la ragione principale, al di là del fatto che è una città e una piazza storica per la quale è bello giocare.
– In questa stagione stai guadagnando spazio e minuti: questa cosa per te è uno stimolo per poter crescere ancora? E, secondo te, quali sono le tue qualità, il tuo apporto e contributo in campo? In cosa, invece, devi ancora migliorare?
Penso di dover ancora migliorare nella forma fisica in quanto non mi sento ancora al top per via di questa estate in cui ho portroppo saltato il ritiro a causa del Covid-19 e per tutti quei problemi che mi sono portato dietro da quel momento, ma sto lavorando per cercare di tornare al top come lo ero prima di stare male.
Una delle qualità che penso mi abbia permesso di ritagliarmi più minuti è che sono capace di gestire la squadra meglio e di cercare i compagni al momento giusto e di segnare quando ce n’è più bisogno.
Sono qualità che mi rispecchiano e sono contento che piano piano io riesca a farle vedere.
– Come è cambiato, dal tuo punto di vista, il gioco di Pesaro dopo l’arrivo di Banchi? E cosa è cambiato all’interno della squadra che vi ha fatto rialzare dopo una falsa partenza?
È cambiato l’approccio mentale e fisico nelle partite e negli allenamenti, il fatto di essere attenti ai dettagli e capire che pur non essendo la squadra più talentuosa o atletica del campionato comunque possiamo imporre il nostro gioco se siamo precisi in quello che facciamo e ciò lo abbiamo capito a partire dagli allenamenti quotidiani per poi prendere fiducia in partita.
All’interno della squadra il clima è più o meno è sempre stato lo stesso. Ci siamo guardati in faccia più di una volta dopo l’inizio di campionato che abbiamo avuto e sapevamo che eravamo noi a dover cambiare il modo di giocare ed eravamo noi artefici di ciò che stava succedendo.
È cambiato tanto, ma sotto l’aspetto emotivo il senso di urgenza nel voler vincere e nel tornare a vincere penso sia stata la cosa che si è accesa dopo l’arrivo di Banchi.
– Quali sono i tuoi obiettivi, sia personali che di squadra, per questa stagione e per il futuro?
Il mio obiettivo personale è di tornare a sentirmi bene in campo, in fiducia con me stesso e aiutare la squadra a vincere il maggior numero di partite, poi che sia arrivare ai playoff o salvarci questo lo vedremo col tempo e penso che ancora la stagione sia ancora molto lunga.
Dal punto di vista personale sto cercando di ritrovare me stesso per poter aiutare la squadra nel migliore dei modi a vincere.