Partiamo dal presupposto che spesso Bill Simmons non sia esattamente apprezzato per tutte le sue esternazioni e in realtà la sua “bostonità” lo espone a qualche contestazione visto il suo tifo per i Boston Celtics e i New England Patriots. Detto ciò la soggettività su Bill Simmons finisce lì, perché possiamo dire che è una specie di Re Mida del giornalismo sportivo. Agli inizi di carriera tutti aspettavano il suo editoriale che faceva tonnellate di visualizzazioni, poi è andato a ESPN e ha creato Grantland che è stato qualcosa di unico e forse irripetibile dove ha messo insieme un quantitativo di giornalisti dall’incredibile e inesplorato talento facendolo diventare un must per ogni appassionato. Da ESPN poi si è separato in modo piuttosto burrascoso chiudendo Grantland, prendendosi una pausa e uscendo con The Ringer. Ora festeggia la vendita del suo pacchetto podcast a Spotify per una cifra che sarebbe superiore ai 200 milioni di dollari.
This morning we announced that @spotify is acquiring The Ringer. Couldn’t be more excited to work with @eldsjal and his phenomenal team.
More details to come down the road… but @ringer will remain @ringer in every respect. They appreciate what we do and they want us to be us.
— Bill Simmons (@BillSimmons) February 5, 2020
Podcast prima che articoli
The Ringer è una piattaforma che produce podcast (circa quaranta tra sport e cultura popolare), prima che articoli o lavori editoriali. Per noi italiani sembra impossibile, ma nella scorsa annata ha guadagnato circa 15 milioni di dollari con la sola produzione di podcast, fenomeno in incredibile aumento.
Per dare il tono di quanto la piattaforma podcast sia in crescita e perché Spotify abbia stanziato 400 milioni di dollari per aumentarne la presenza mettiamo insieme qualche numero legato a The Ringer:
- 25/35 dollari= i guadagni per migliaia di ascolti
- 1 milione= il fatturato di the Ringer in un mese di podcast
- 15 milioni= i guadagni annuali di The Ringer
- 100 milioni= i download mensili dai 40 podcast della piattaforma
È ovvio che stiamo parlando di numeri inapplicabili al mercato italiano, anche facendone semplicemente una questione di limitazione della lingua, oltre al fatto che non esiste una società che produca 40 podcast al mese con altrettanti impiegati che ci lavorino costantemente. Per guadagnare bisogna investire, ma il mercato americano ha chiaramente un bacino d’utenza diverso rispetto al resto del mondo. Tutto ciò che non è elencato qui riguarda la qualità, il talento di chi conduce i podcast, la precisione editoriale e di chi produce le puntate.
E da noi?
Senza fare paragoni particolarmente scomodi, anche in Italia il fenomeno podcast (semplicemente dal giorno in cui è nato Backdoor cinque anni fa a oggi) è cambiato incredibilmente. È aumentata in maniera esponenziale la produzione di programmi, ma il dispiacere è che molti di questi, soprattutto in ambito sportivo, siano home made e non abbiano una struttura dietro che possa contribuire alla crescita. Da una parte è comodo per l’autogestione e quindi lo stampo casereccio del “quando ho tempo lo faccio”, dall’altra se fatto in questo modo difficilmente potrà portare qualità, produzioni di buon livello e di conseguenza guadagni.
La fruibilità del podcast non ha eguali, anche rispetto a testo e video, basti pensare in quante occasioni si possa ascoltare un podcast senza togliere tempo ad altro. E allora perché non pensare che questa sia la nuova frontiera del giornalismo? Come al solito Simmons ci è arrivato molto prima degli altri e non è la prima volta…