EuroLeague Final 4, Mille e una notte di queste notti

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Real-Panathinaikos è finita da un paio abbondante di ore. Si rientra in ostello, col perimetro della Uber Arena di Berlino ancora pullulante di Greens più o meno sobri. L’EuroLeague dal vivo, specialmente nella settimana santa delle Final 4, è questo: una scarica di emozioni, piacevoli o meno, tutte tremendamente forti e vivide.

Si apre il portone d’ingresso al pianterreno, si sale il piano di scale che porta alla stanza e si passa la chiave magnetica davanti al lettore. Luce verde. Serratura che gira e maniglia che si abbassa. È tardi, anche per gli standard di una struttura nata per ospitare persone da ogni dove e in qualunque modo. Non per quella camera, non per quella notte. È da tre giorni che i letti a castelli, gli armadi, le pareti della stanza sono tinteggiate di biancoverde. Sciarpe, bandiere, canotte con scritte in carattere greco.

I 7 ragazzi arrivati da Atene ti hanno preso in simpatia, hanno cercato di ottenere da te qualche biglietto per la finale o un modo per aggirare i controlli dell’arena di Berlino. La porta si apre e si viene travolti dall’abbraccio dei 7, birra in mano e “KO-STAS SLOU-KAS” fuori dalla bocca, ripetuto da chissà quanto. O meglio, lo si sa da quanto. Da quando l’ex Olympiacos ha cambiato sponda di Atene ma, in particolare, da uno di questi istanti.

L’edizione 2024 delle EuroLeague Final 4 è stato un crescendo, dentro (per fortuna) e fuori (purtroppo) dal campo. Perché com’è sacrosanto raccontare quello che le televisioni e le radio di tutta Europa hanno trasmesso dal parquet berlinese, altrettanto doveroso è sottolineare quanto ancora, checché ne dica il CEO nella conferenza coi media accreditati all’evento, EuroLeague non è il miglior prodotto possibile.

Purtroppo non lo è, per la mancanza di chiarezza e di stabilità garantita alle squadre per la programmazione di annate che inizieranno da qui a un paio di mesi. Non lo è perché si decide di ascoltare esclusivamente gli interessi economici di alcuni investitori, per i quali anche una partita inutile e fastidiosa in più, quindi una brutta partita, è soltanto una partita in più, quindi una buona partita. Non lo è perché non si possono non prefigurare escandescenze di tensione se si accolgono, nella stessa città e nella stessa piazza, tre tra le tifoserie più agitate del Vecchio Continente.

E sono magagne di ordine di grandezza incomparabile a quelle, piccole e insignificanti al confronto, che si vivono nel backstage di una centrifuga come le Final 4. Il buffet in salsa tedesca ha varietà e gusto inesistenti? Chissenefrega. La disponibilità in zona mista dei giocatori è nel 99% dei casi riservata ai media locali o ai giornalisti della stessa nazionalità del singolo giocatore? Chissenefrega (o meglio, vediamo di arrivare il prima possibile a questo appuntamento con qualche squadra o cestista…). La tribuna stampa della Uber Arena non ha la capienza sufficiente per ospitare tutti gli accreditati in un unico settore, destinando i non-rights holders alla piccionaia delle ultime file del secondo anello, senza un collegamento “dedicato” con la sala conferenze e la zona mista? Chissenefrega. Sono disagi minimi, che alterano nell’immediato ma che in un quadro generale dai contorni definiti e dal colore pieno non si noterebbero.

Per fortuna arriva in soccorso la pallacanestro giocata, che in un mondo ideale sarebbe pure l’unica cosa che conta. Da giovedì a domenica, tra EuroLeague Final 4 e Adidas Next Gen Tournament, il basket europeo di massimo livello si è prodotto in un crescendo rossiniano, con la tripla sfida della giornata conclusiva a lasciare in bocca quel sapore che ne farebbe volere ancora, e ancora, e ancora. Il secondo ANGT vinto consecutivamente dal Real Madrid, con ancora Hugo Gonzalez sugli scudi – hot take: il sostituto di Rudy Fernandez, per personalità e caratteristiche tecniche, il Madrid lo ha già in casa; una finale di consolazione conclusa con una tripla sulla sirena annullata per qualche centesimo di secondo; l’apoteosi della finalissima, con un’Uber Arena dal forte accento ellenico che ha goduto di 12′ di attacco celestiale del Real Madrid e 40′ di intensità fisica ed emotiva senza eguali del Panathinaikos.

Alla fine ha vinto Ergin Ataman e il suo gruppo, mai come questa volta suo e mai come questa volta di Ergin Ataman. In apparente balia di un mare burrascoso che lui stesso contribuisce ad agitare, ma perennemente col timone saldo tra le mani e con l’equipaggio fulmineo ad adattarsi alle consegne impartite. C’è stato l’arco narrativo di Kostas Sloukas – stella delle stelle, la più discussa e criticata delle mosse estive culminate con l’MVP della Final 4 – e quello di Jerian Grantunsung hero, che tra semifinale e finale non è mai stato il più appariscente ma il più costante per impatto ed efficacia (per quel che è valso, a quanto pare poco, il voto di Backdoor Podcast nella votazione della tribuna stampa per il Most Valuable Player della Final 4 è andato all’ex Olimpia).

Questo sport è talmente crudele e bello che non si può ripensare a caldo a delle Final 4 come quelle di Berlino. Chiedendo scusa ai famigliari della persona in fin di vita a causa degli scontri di Prenzlauer Allee, che nulla hanno a che fare con una palla a spicchi che rimbalza sul parquet, nonostante tutto si ha la voglia matta di vivere le prossime. Anche per riscattare la birra promessa dal CEO di EuroLeague Motiejunas. Anche analcolica, qualora fossimo davvero a Dubai.

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