“Vinceranno i nostri ragazzi, tifiamo tutti per loro”. Dopo uno scalo infinito a Londra, un trasferimento con pullman di dubbia affidabilità tra Luton e Stansted e un turbolento arrivo a Kaunas, ci sta aver capito sbagliato. Un tassista lituano con il portachiavi dello Zalgiris che parla dei suoi ragazzi sta chiaramente straparlando. O magari hai capito male tu, infradiciato dal diluvio con cui la Lituania ti ha accolto un mercoledì sera di fine maggio e confuso dal doppio cambio di fuso orario che ha trasformato due ore effettive di volo in quattro giri completi della lancetta più piccola dell’orologio. Lo guardi con sospetto e, indicando il portachiavi, ribatti con “Ma lo Zalgiris è stato eliminato, non ci sarà alle Final 4 di EuroLeague“.
Ingenuo, ingenuissimo errore. Il tassista ti squadra con occhi misti tra compassione e rimprovero e puntualizza. “I nostri sono Saras, Rokas e Donatas. Vanno in finale Barça e Monaco, e saremo felici per chi alzerà il trofeo”. Sarà la stanchezza, sarà la tensione per la miriade di eventi dei giorni successivi, saranno mille altre cose, ma questa frase ti illumina. Quando si parla della Lituania come di un paese di pallacanestro, dove la palla a spicchi vale come una particola per i cristiani, è questo che intendono. E i giorni successivi, casomai servissero ulteriori indizi, sono una prova incontrovertibile.
Kaunas è una città tutto sommato piccola, senza eccessiva storia urbanistica e architettonica alle spalle per via di un Novecento a dir poco tribolato, che dà l’idea di essere pulitissima e ideale per vivere una vita tranquilla per tutti i giorni in cui non ci sia una partita di pallacanestro di mezzo. La settimana delle Final 4 di EuroLeague, tuttavia, è la meno ortodossa che esista, e allora Kaunas dà il suo meglio. Non tanto ripulendosi l’immagine, nascondendo sotto il tappeto tutti i difetti strutturali che emergono qua e là, ma mostrando una passione e una competenza diffuse che fanno passare quei difetti strutturali in secondo piano, che in un altro contesto da lieve sottofondo diventerebbero un leitmotiv disturbante.
Perché è vero, non tutti i volontari impiegati alla Žalgirio Arena (soprattutto i meno giovani) sapevano parlare inglese. Perché è vero che il cibo offerto dal servizio catering nell’area riservata agli accreditati non brillava per varietà e qualità dei prodotti (essendo italiani lo standard che ci autoimponiamo in materia è oggettivamente troppo alto, bisogna essere onesti). Perché è vero che la gestione della zona mista poteva prevedere almeno un corridoio in più dove i media avrebbero potuto intervistare i giocatori, evitando di fare a spallate con troupe che in nome di attrezzature più grandi e costose pretendono di avere spazi che non collimano con il principio dell’impenetrabilità dei corpi e allungando il percorso dal parquet agli spogliatoi attraverso una parte del salone destinato alle lunghe tavolate con prese annesse messe a disposizione dei giornalisti per tutti i momenti in cui non aveva senso andare in tribuna stampa vista l’assenza di una partita di Final 4.
Tutto vero, ma a ogni cosa bisogna dare il giusto peso. E, almeno a nome di Backdoor Podcast, i meravigliosi momenti vissuti nella settimana baltica meritano una sottolineatura maggiore. Catapultati in una realtà di infrastrutture e attenzione allo sport a 360° che nel Belpaese siamo ben lungi da vivere, il connubio Kaunas-EuroLeague ha funzionato. Trasporti e collegamenti tra hotel convenzionato dall’organizzazione, flessibilità nell’accontentare le possibili richieste personali (un ringraziamento alle ragazze che hanno prenotato un taxi alle 4.30 del lunedì mattina, ammesso che leggeranno mai queste righe, lo dovremo sempre fare), il giusto rapporto tra controlli di sicurezza rigorosi e piccoli privilegi da riservare a chi doveva raccontare l’evento affinché potesse farlo nelle migliori condizioni possibili.
Tutti i media accreditati avevano postazione personale con doppia presa elettrica a disposizione nella tribuna a loro dedicata alle spalle del canestro alla sinistra delle telecamere con cui, accompagnati da Andrea Solaini e Geri De Rosa, tutti voi da casa vi siete goduti lo spettacolo. Tutti i media accreditati avevano un’area a loro riservata per gustarsi da una vista invidiabile tutte le partite dell’Adidas Next Gen Tournament, potendo osservare da un paio di metri gli idoli del domani senza avere la visuale impallata dai genitori e dagli accompagnatori legittimamente e fisicamente coinvolti, ai quali era assegnata l’intera tribuna opposta alle riprese televisive della S. Darius and S. Girėnas Hall. Bel tempo, escludendo il diluvio dell’atterraggio e folate gelide sparite nel corso del fine settimana, con giusto un paio di nuvole a tentare di impedire al Sole di gustarsi lo spettacolo sul miglior palcoscenico dove l’Europa cestistica può esibirsi. Bagni puliti, un’atmosfera costante di festa a prescindere da chi vincesse o chi perdesse, giusto un pizzico di aglio di troppo in qualsiasi pietanza spacciata per tipica ma finché non si è streghe basta portarsi dietro spazzolino e dentifricio e tutto torna come prima. In foto il monumento eretto nella piazza antistante alla Cattedrale di San Pietro e Paolo, premonitore del Kostas Sloukas post mandarina di Llull o di un qualche avventuriero a contatto diretto con l’alito local prima della necessaria tappa in bagno:
Non si può dire che EuroLeague non abbia fatto di tutto per far sì che chi dovesse fare informazione sulle Final 4 potesse farlo nelle condizioni migliori possibili. La rete WiFi ha sempre funzionato meravigliosamente nelle zone dove era necessario funzionasse meravigliosamente; le tempistiche per gestire interviste, valzer e incroci di squadre e staff tra allenamenti e partite sono state progettate discretamente, arrendendosi ad accavallamenti tra conferenze e basket giocato, inevitabili soprattutto per quelle testate rappresentate in loco da una sola persona, solo quando non era concretamente possibile evitarlo.
La struttura alla base dell’evento è stata ai limiti della perfezione, sia a livello di comfort che di professionalità. Poi certo, in fin dei conti sono gli esseri umani incaricati ad aggiungere quel pizzico di componenti soggettive che sfuggono alla progettazione e alla programmazione degli eventi a fare quella differenza tra un evento funzionale e un evento memorabile. Lì si tracima nel campo delle valutazioni soggettive, della fortuna o della sfortuna di essere in terza fila e avere un cameraman troppo agitato nelle vicinanze o essere in cima ed essere spalla a spalla con l’unico accreditato dalla Romania con cui, parlando praticamente in italiano a causa di una sua passione smodata per l’Inter dei tedeschi, trovarsi a scambiare un’occhiata da “E ti pareva…” al canestro di Llull che rimarrà negli annali. Detto che Sergio, fissando il canestro dove ha segnato la storia di EuroLeague, seduto in prima fila prima dell’allenamento della sera precedente già sapeva.
Una centrifuga eccitante, insomma. Non replicabile per più di un paio di volte all’anno, dato che alla fine bisognerebbe avere la possibilità di una sessione settimanale di crioterapia fisica e psicologica che nemmeno Tavares dopo 40′ di zona per 3 partite di EuroLeague Playoffs nel giro di 7 giorni. Con la sinistra e malinconica sensazione che in Italia un’atmosfera così sarebbe replicabile in una sola città, ma che qualcosa potrebbe andare storto in ogni caso, o vivendo che una gigantesca e clamorosa cazzata sia dietro l’angolo. Quanto si sarebbe ricamato in Italia sul problema al cronometro che ha posticipato di 5 minuti l’inizio del Championship Game? Troppo, in qualsiasi senso si sarebbe trattato. E invece a Kaunas ci si è limitati a gestire l’imprevisto senza scadere nella teatralità, per il bene di tutti. Anche per il bene del Media Partner italiano più importante, almeno stando al sito di EuroLeague, che ha optato di snobbare completamente l’evento vista l’assenza di società tricolori. Che amarezza.