Esistono personaggi che a prima vista possono far discutere. Dividere il pubblico in base al gusto personale. Polarizzare le opinioni a seconda dell’individuale visione del mondo. Figure emblematiche della nostra scala valoriale, che rispecchiano le tendenze e le inclinazioni del singolo nel rapporto con la società. Esistono d’altra parte persone che, inevitabilmente, conciliano in un unico corpo e in un unico spirito la vastità immensa della casistica umana. Ognuno può scorgere in esse una peculiarità che le contraddistingue, senza che le altre mille sfaccettature riescano nell’impresa di cancellarla o derubricarla in secondo piano. Ciascuno riesce a vedere in loro la manifestazione dei propri desideri. Eroi, contenitori e catalizzatori di dinamiche vitali. Conoscere la storia di un ragazzone di Capo Verde dovrebbe riconciliarci con la vita stessa. Compiere a ritroso il percorso di chi, dal non trovare un paio di scarpe per giocare, è diventato uno dei giocatori più dominanti dell’Europa intera, ci consentirebbe di tracciare un lungo filo rosso che unisca tutte le nostre anime. Perché Walter Samuel Tavares da Veiga detto “Edy” ha qualcosa da insegnare a tutti noi. Nessuno escluso.
STRANIERO IN TERRA STRANIERA
Impossibile passare inosservato. Pare un fenicottero sgraziato, quando le sue infinite leve si muovono sulla spiaggia di Maio. Apparentemente goffo, poco incline all’attività fisica, sicuramente non dotato di talento sopraffino o amore spassionato per lo sport. Anche il viso non denota certo, per essere clementi, scaltrezza né particolare arguzia. Altrimenti, con quelle potenzialità fisiche, a 17 anni non vivi ancora nella fantastica isola di Maio. Questo è quello che deve aver pensato un impresario tedesco, in vacanza nel 2009 con la famiglia nello splendido arcipelago di Capo Verde. Mano nella mano col figlioletto durante una camminata lungo le magnifiche spiagge dell’isola, Jürgen si imbatte in questo freak atletico. Un vero e proprio scherzo della natura. Il dialogo deve essere andato più o meno così: “Ragazzo, hai mai pensato di giocare a basket?”. “No, signore. Non mi posso permettere neanche delle scarpe che vadano bene per il mio piede (51!)”. “Se te le trovassi e pagassi io, faresti un provino per un mio amico spagnolo?”. “Ma signore, non ho mai neanche preso in mano una palla a spicchi?”. “Non ti preoccupare, giovane. Ci lavoreremo su”.
Le conoscenze di Jürgen fanno il resto: contattato l’amico Raul Rodriguez, direttore delle giovanili del Gran Canaria Baloncesto, nei mesi successivi una spedizione del club isolano sbarca a Maio per visionare direttamente Edy. Tavares è chiaramente in imbarazzo nel momento di compiere qualsiasi gesto sul campo da basket che non sia correre avanti e indietro e alzare le braccia, oscurando la vista del cesto a compagni e avversari. Sicuro che gli spagnoli abbiano vista diciassettenni molto più formati e pronti per giocare all’altissimo livello del basket iberico. Ma Edy comunica qualcosa di diverso, a prescindere dalle predisposizioni tecniche o tattiche. Tavares ti costringe quasi a empatizzare con lui. Gli occhi di un ragazzo che ha rinunciato alla formazione scolastica da ormai diversi anni per aiutare la madre a racimolare qualche soldo in più. Lo sguardo di chi non ha mai visto neanche in TV una partita di pallacanestro ma che Madre Natura ha dotato di un corpo perfetto per questo sport. Le diffidenze di Walter nell’abbandonare casa sono vinte. Da un arcipelago all’altro. Da Capo Verde alle Canarie.
Impatto? Chiaramente durissimo. Edy non conosce nessuno, non parla la lingua, non è esattamente il compagno di bevute desiderato da tutti. Imparare uno sport dai minimi fondamentali, poi, non contribuisce ad alleggerire il carico. Edy ha più volte raccontato di come, in campo, non avesse inizialmente la minima idea di cosa fare. Seguendo una bilanciata preparazione atletica, Tavares torna a casa dopo i primi allenamenti con dei blocchi di marmo al posto dei quadricipiti. L’etica del lavoro, però, non manca. Quella è giunta anche nelle sperdute isolette dell’Atlantico, nel piccolo villaggio di Praia, nella poverissima situazione di casa Tavares. Edy è abituato a sentirsi riconoscere dagli invidiosi una sola qualità: essere alto, tremendamente alto. Difficile dire il contrario per uno che oggi, arrivato ai 221 cm di altezza, coniuga 2,36 mt di apertura alare. Edy ha molto di più, è molto di più. Il cuore infinito, che compensa la difficoltà nel coordinare arti sproporzionatamente estesi. Lo spirito di sacrificio, che gli consente di colmare i passaggi a vuoto in difesa dei compagni e di portare infiniti blocchi per chi la palla la sa trattare per davvero. La tenacia e la resilienza, utili per convincere i più scettici che, nonostante continui a palleggiarsi sui piedi e poter far canestro prendendosi tiri da una distanza massima dal ferro di dieci centimetri, valga la pena putare anche su di lui. Il debutto in Liga ACB arriva nel 2013. Quattro anni dalla prima palla toccata, dalle prime scarpe indossate. Quattro anni di allenamenti estenuanti, di prestiti nelle serie minori e di dubbi sulle sue abilità cestistiche. Quattro anni di sorrisi e gratitudine nei confronti di chi ha scommesso su di lui allontanandolo dalle difficoltà che gli avrebbe portato un futuro da pescatore o allevatore di bestiame a Maio.