Eurolega: come potrebbe cambiare la competizione in futuro?

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C’è un vento nuovo che tira in Eurolega e fa sempre più rumore. La miglior competizione d’Europa, infatti, si trova di fronte a un periodo di cambiamento. Innanzitutto, Dejan Bodiroga ha preso il posto di Bertomeu come presidente della lega e questa sostituzione comporta, per forza di cose, un nuovo corso nella storia della lega. È ancora presto per capire come il torneo potrebbe cambiare sotto questa nuova direzione, ma dei sentori iniziano ad esserci già adesso.

A parlare di questi possibili cambiamenti sono stati due protagonisti attuali della competizione. Il primo è Dimitris Itoudis, che con il suo Fenerbahce sta dominando l’attuale stagione di Eurolega. Il coach della nazionale greca ha rilasciato una lunga intervista a Eurodevotion, soffermandosi in particolare su quanto il livello di competitività della Lega si sia alzato negli ultimi anni. Sempre più squadre investono per aumentare le possibilità dei propri roster e l’edizione di quest’anno ne è una conferma. Pur essendo soltanto l’inizio di una lunga stagione, solo due vittorie in questo momento separano l’ultima in classifica dall’ottavo posto, tanto che individuare le squadre che per certo non andranno ai playoff è un compito davvero molto arduo. Il coach ha così commentato il quadro dell’Eurolega.

Si, è una stagione di altissima competitività ma in fondo è l’Eurolega che è così. La differenza di poche gare tra l’ultima ed un posto Playoff è in realtà la dimostrazione di quanto l’Eurolega non sia equa da questo punto di vista. 18 squadre e solo 8 ai Playoff: l’anno prossimo magari siamo a 20 e cosa facciamo, mandiamo alla postseason sempre e solo 8 squadre?

Quale potrebbe essere una soluzione a questo problema? Il futuro dell’Eurolega, infatti, sembra sempre più aperto all’inclusione di altre società e non a una riduzione delle partecipanti. Basti pensare alle squadre di Parigi, Londra o la possibile franchigia di Dubai: tutti mercati che l’Eurolega vuole raggiungere e conquistare nel miglior modo possibile. All’aumentare delle contenders cosa potrebbe quindi succede? L’ispirazione viene da oltreoceano.

La NBA ha creato i “Play-In” per aumentare il numero di squadre potenzialmente coinvolte dopo la stagione regolare. E dicevo queste cose anche quando ero al Cska, dove arrivavamo quasi sempre tra le primissime. Le soluzioni vanno discusse a porte chiuse nelle sedi opportune ma sì, anche i “Play-In” possono esserlo.

Di un pensiero simile sembra essere Alec Peters. L’ala dell’Olympiacos a Settembre è entrato a far parte del consiglio dell’ELPA (Associazione dei giocatori di Eurolega) e ha subito provato a portare idee rivoluzionare, anch’esse in parte di provenienza americana. Cresciuto con l’impronta del sistema NBA, Peters crede che l’Eurolega debba sempre di più avvicinarsi a quel modello nel suo processo di espansione. Obiettivo? Accompagnare alla crescita qualitativa della competizione una crescita quantitativa, anche prendendo una decisione drastica.

Nel breve periodo il traguardo sarebbe quello di arrivare a 20 squadre, ma nel futuro questo numero potrebbe crescere sempre di più. Ed ecco la scelta drastica per affrontare una stagione che sarebbe ancora più logorante di quanto non lo sia già ora: non partecipare ai campionati nazionali, o farlo soltanto a partire dai playoff. Quanto sarà fattibile realizzare tutti questi progetti è da verificare, e soprattutto ci vorranno molti anni per vedere questi cambiamenti. Ma Peters non sembra assolutamente contrariato all’idea di una Eurolega completamente nuova.

Credo che l’Eurolega continuerà a crescere arrivando a contare più di 20 squadre nei mercati più importanti dell’Europa e dei Paesi vicini. Mi aspetto una stagione da 60-70 partite seguita da vere serie-playoff complete. Standard ancora più alti in termini di condizioni di viaggi, gioco, calendario e infrastrutture. Se vuoi essere il miglior prodotto cestistico in Europa, devi meritartelo. E penso che l’Eurolega possa raggiungere questo livello.

Per farlo serviranno mezzi finanziari e di management non da poco, oltre a molto tempo. Ma chissà che un aiuto fondamentale, in questo, non possa venire da una città degli Emirati Arabi Uniti. Magari anche prima di quanto crediamo.