Eurolega: Luke Sikma, footprints on the sand…

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Sikma
Twitter, Luke Sikma

An apple fallen not far from tree. Non lo avrebbe detto nessuno dei tanti cronisti americani che si divertono – professionalmente parlando – a descrivere i prospetti delle high school o del college predicendo carriere e potenzialità. Eppure se costoro si erano già sbagliati con suo padre, il celebre Jack Sikma, che dal modestissimo college di D-III di Illinois Weleyan era arrivato prima alla cima dell’NBA, con titolo, convocazione All-Star, conio di due movimenti mai visti prima e rivoluzione del gioco per i power-forward/center e, non da ultimo, iscrizione nella Hall of Fame, fare la stessa cosa con suo figlio significa davvero perseverare…

Luke Sikma è cresciuto in un Illinois che non è quello rurale di suo padre, ma non si discosta poi così tanto per l’imprinting, di quei tiri che si fanno al canestro dietro casa per il semplice piacere di farlo. Eppure la settimana scorsa il giocatore oggi in forza all’Alba Berlino è stato eletto mvp di giornata, non una casualità per quello che sta dimostrando ai vertici del basket europeo, tra Spagna e Germania, già da qualche anno. Eppure, se è vero che le date sono sempre importanti nelle nostre storie, a separare ciò che è stato da ciò che poteva essere, quando ci riferiamo al primo figlio di Jack, dobbiamo fare due tappe obbligate.

Dovrebbe essere tutto facile nell’andare – almeno a provare – in NBA, specie se tuo padre è un fisso assistente di Rick Adelmann, uno di quelli che ha preparato e migliorato costantemente Yao Ming, eppure con Luke Sikma siamo sempre a una spanna di distanza dall’essere ignorato. All’High School è un ragazzo di statura normale con punti nelle mani che gioca guardia, poi cresce in un anno quasi 18 centimetri e lo mettono a fare l’ala forte, il lungo, guarda caso il ruolo di suo padre. Le cose migliorano leggermente, tanto da beccare anche la chiamata di Portland University che gli concede spazio da subito. Eppure al draft si va totalmente lisci, con un biglietto già pronto per l’Europa ed una avventura incognita in Spagna. La LEB Oro lo sgrezza, perché a quella sua capacità balistica che ha nel sangue, si aggiunge la capacità di rispondere ai contatti, di lavorare nell’ombra, prima del 23 Luglio 2012.

07.23.12

Per giocare alla Summer League qualche aggancio serve, e Luke viene “chiamato” addirittura dai Timberwolves di coach Adelmann ed in cui papà Jack è arruolato.  I maligni lo considerano al pari del “ghepardo” del proprietario che vuole notorietà, non gli vengono concessi neanche troppi minuti, anche perché Minnesota ha in quel roster “di formazione” Robbie Hummel – su cui aveva sostanzialmente intenzione di puntare forte – che sostanzialmente gioca la sua stessa pallacanestro. Eppure in allenamento vedere giorno dopo giorno un ragazzo che risponde colpo su colpo alle provocazioni e alla pressione, gli fa guadagnare minuti e stima da parte dell’ambiente, con due gare da doppia doppia che relegano il lungo passato anche da Milano al ruolo di comprimario e lo mettono sotto i riflettori. In tanti si affrettano al paragone paterno, con Jack che non risponde o quasi alle domande dei giornalisti, ma è lo stesso Luke – dopo una doppia prestazione da 16 punti e 14 rimbalzi – a tagliare la testa al toro dinanzi ai microfoni che sembrano accorgersi per la prima volta di lui:

La Summer League è solo un episodio, è solo l’inizio della mia carriera, ma aver acquisito la stima e la fiducia dell’ambiente, dei compagni che hanno armato la mia mano al tiro, è quello che volevo. Avere un padre come il mio è al tempo stesso un onore ed un onere. Giocare per lui è una cosa meravigliosa, ma questo ti spinge anche a dover sopportare una pressione pazzesca, nel voler eccellere e competere, nel non voler mai fare un passo indietro. Nonché ho la possibilità di allenarmi con lui, di imparare ogni giorno cose nuove.

Lo avevano definito un old-school boy, e il vecchio continente era pronto ad accoglierlo.

Dopo Burgos esplode in massima serie ed in Europa con Tenerife, di qui il primo upgrade con Valencia, dove vince il titolo e con merito in un campionato in cui si è sempre distinto ad alti livelli. A Valencia il suo percorso di affermazione sembra – da un certo punto di vista – iniziare una fase di stallo. Diventa un giocatore di sistema, di quelli che oltre ai numeri mettono sul parquet l’anima, di quelli che diventano i beniamini dei tifosi. La sua crescita difensiva ne fa inoltre quello specialista che serve ad una squadra per fare il salto dalla buona squadra a una eccellente. Quel rapporto che si è legato con la terra spagnola è testimoniato dalla sua lettera alla pallacanestro che vi proponiamo dalla sua diretta testimonianza, con quel semplice “Thank You” finale che è il sintomo della grande spontaneità che ha sempre contraddistinto questo ragazzo.

Il trasferimento a Berlino, un squadra che ha fame di successo, che deve scrivere ancora una pagina della propria storia, una underdog, gli ha permesso di trovare una dimensione diversa in cui esprimersi, anche e soprattutto perché la squadra tedesca non si circonda di stelle ma di giocatori funzionali. In questo senso il suo rapporto sul campo con Peyton Siva è inequivocabile di quell’amore condiviso per il gioco che non conosce confini, con i due che si cercano, spesso si trovano, e diventano i leader emozionali di una squadra che, quando è coesa, può vincere contro chiunque. La sua prestazione contro il Khimki che gli vale il titolo di mvp di giornata di Eurolega è un manifesto del modo in cui lui vede la pallacanestro: i punti, 27, sono quello che è il suo pane quotidiano, con un 7/10 al tiro che è il frutto di quell’ossessiva ricerca della perfezione e della pulizia del movimento. I 9 rimbalzi ed i 5 assist, sono il sintomo di un ragazzo che sul campo fa tante cose, che sa farsi notare in difesa e nel lavoro sporco, che porta quantità oltre alla qualità del talento che ha nelle vene. E che in questa Eurolega ben ha il diritto di starci, anche senza dominare.

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