“Quando hai capito di essere veramente innamorato?”. “Perché lo ami?”. “Cosa la rende unica rispetto a tutte le altre?”. Ma che razza di domande sono. Si è innamorati di qualcuno perché… Si prova qualcosa di veramente speciale quando… Nel momento in cui si ripensa ai grandi amori di una vita, spesso le domande che appaiono più banali, a cui sembrerebbe più facile rispondere, si trasformano in un’arma a doppio taglio. La grandezza dei sentimenti in gioco ci spaventa, costringendoci dietro semplificazioni eccessive rispetto alla nobiltà e alla bellezza delle emozioni che pervadono il nostro animo. Capita addirittura di scadere nel terribile “Lo amo perché… lo amo”. Questa fantastica follia d’amore, al contrario, ha un preciso momento di inizio. È legata a un determinato gesto in un determinato luogo. Per questo vale di meno, è meno autentica in quanto non ammantata dalla magia dell’Eros? Sinceramente no. Potrebbe valere meno in quanto non dichiarato né tantomeno corrisposto? Siamo qui per rimediare. Vasilije Micić, te volim!
Vestito di nobilissimo colore, umile, onesto e sanguigno
9 novembre 2017. Regalo di compleanno di mamma: 2 biglietti per Milano-Zalgiris al Forum. Prima sfida dal vivo di Eurolega della mia vita. Mi rendo conto solo in un secondo momento che i biglietti li ha avuti gratis perché un conoscente non riusciva ad andarci. Mi rendo conto solo in un secondo momento che si tratta pur sempre dell’Olimpia di Pianigiani. Bene ma non benissimo. I lituani dominano, verso fine terzo quarto conducono di 25 punti. A 2:31 dalla terza sirena, il 22 dello Zalgiris riceve palla spalle a canestro, marcato dal piccolo Jordan Theodore. Lo attaccherà in post per sfruttare il vantaggio di centimetri e tonnellaggio, penso ingenuamente. No. Dietro schiena per White, tutto solo sotto il ferro. Canestro. La vera partita, ai miei occhi, è finita. Da quell’istante cerco di seguire esclusivamente i movimenti e la posizione in campo del 22. Non è una delle serate più brillanti della carriera, ma me ne importa il giusto. Cupido ha scagliato la sua freccia.
Nei giorni successivi, non c’è versione o relazione di laboratorio che tengano. I pomeriggi vengono trascorsi ad ammirare gli highlights di Vasa su YouTube, recuperando filmati girati con telecamere dalla dubbia risoluzione negli anni di militanza nelle giovanili e prime squadre serbe. Anche analizzando le immagini delle prime esperienze da professionista, è difficile spiegarmi cosa possa provare di unico per Micic. Fisico nella media, tosto ma tutto tranne che atletico. Non è certo un fulmine di guerra: il baricentro non gli consente di cambiare passo istantaneamente come una guardia di 1 metro e 80 in entrambe le metà campo. Il rilascio è educato ma non raffinato come nei migliori minerali scovati nelle miniere balcaniche. Non traspare mai in lui una vera emozione quando calca i 28×15: si sbatte, lotta (è pur sempre nato a Kraljevo, sarebbe incostituzionale non farlo), ma dà sempre l’impressione di essere eccessivamente controllato, senza mostrare il fuoco che sta ardendo dentro l’animo serbo. Nonostante tutto…
Nonostante tutto, Micic è in grado di regalarti una giocata spaziale nel momento in cui meno te l’aspetteresti. Il dietro schiena di cui sopra. Un laser pass a trovare il tiratore nell’angolo con chilometri di spazio a disposizione, quando tutta la difesa collassa sul tuo gioco a due col 5. Pocket pass a premiare il taglio del tuo centrone, regalandogli un comodo viaggio sopra il ferro e un giro negli highlights della settimana. Una penetrazione dove, difendendosi dal contatto fisico con l’avversario più grosso, sfrutta magistralmente il piede perno e le esitazioni per mandarlo fuori giri e appoggiarne due al vetro. Una rubata al play avversario, sfruttando furbescamente l’attimo in cui, rimasto sul blocco, il portatore di palla avversario pensa di averla scampata e potersi rilassare. Micic vive un passo avanti. Non fisicamente, sia chiaro. La sua velocità è di pensiero, non di gambe. La sensazione che regala è quella di vedere e leggere l’azione due passaggi prima degli altri nove in campo, dei tre arbitri, delle due panchine e di tutti gli spettatori a palazzo. Osservandolo, hai la netta sensazione che sia diabolicamente più intelligente di tutti ma che, per indole e carattere, non voglia fartelo pesare ogni benedetta azione. Solo quando ne abbia voglia, a piccole dosi. Pennellate d’artista sulla tela della partita. È pur sempre nato a Kraljevo, sarebbe incostituzionale non farlo.