Amiche e amici,
Che del basket coltivate le passioni e le speranze,
Accogliendo, del Simone nostro,
Pescatore di anime perse,
L’ammonimento e l’esortazione…
Quella di non infligger a Voi la anche penitenza,
Di questi afflitti e sofferti tempi
Di nera pestilenza e dura astinenza,
La penitenza
Del commentar le ondate anomale di esuli pensieri
Di quanti, novelli Tantalo (o Tontoli?),
Vorrebbero trascinarci agli Inferi del lor supplizio.
Per non inasprire della captivitas l’estenuante noia
Ma di remoti tempi e degli antichi fasti
Conservar e rinnovellar edificante memoria.
Raccontando di genti e storie edificanti. Ma anche divertenti…
Lo spunto odierno viene da una riflessione che ci aveva regalato Pierluigi Marzorati:
Ad essere sincero – commentava il Pierlo – Nella mia carriera sono stato molto fortunato, favorito dal fatto di aver avuto in squadra centri come Brewer e Flowers a Cantù, e Meneghin in nazionale.
Lontani, oltre un oceano, i primi due, ci restava la possibilità di imbastire una specie di conference call tra Marzorati e Meneghin. Il “Pierlo” e “SuperDino”. Ricordi, goliardia e grande professionalità.
Regalateci un sorriso…
Pierlo: “1976, al Palalido di Milano, in preparazione dell’Olimpiade di Montreal giocammo un’amichevole proprio contro il Canada, nella sera dello stesso giorno in cui il Consiglio Federale, riunitosi sempre a Milano, aveva deliberato il via libera al secondo straniero nel campionato italiano. Ebbene, tutti i consiglieri federali erano schierati nella prima fila del parterre, e durante un time out Dino li investì, urlando loro in faccia: Complimenti. Bravi, bravissimi… Perché, già che siete, non ne prendete tre…? Tanto noi, secondo voi, siamo delle pippe… Quando in squadra avevi Dino Meneghin ti sentivi protetto, in campo e fuori!”
Un altro episodio, in questo senso?
Pierlo: “Olimpiade di Los Angeles (1984) – continua Marzorati – Perdemmo contro la Jugoslavia, e Aza Petrovic, il fratello di Drazen il divino Mozart dei canestri, commise l’errore, gravissimo per Dino che ha sempre rispettato gli avversari, di sbeffeggiarci in modo irridente a fine partita. Meneghin, come un toro scatenato, si avventò nel tunnel e se lo voleva mangiare vivo, in quattro fecero fatica (molta) a trattenerlo… E Aza Petrovic si guardò bene dall’attraversare il tunnel finché non vide Dino rinchiuso in spogliatoio”.
Dino: “Quello li, il Pierlo, mi mette sempre in difficoltà. Cosa devo dire? Il più bravo dei bravi ragazzi, sapete no? quello che tutte le mamme del mondo vorrebbero come marito delle loro figlie… Era perfetto, ed era sempre più perfezionista. Certe volte con la nazionale, in particolare durante le fasi di qualificazione, ci capitava di andare a giocare in campi non esattamente modernissimi, e lui attaccava, si lamentava di tutto, l’illuminazione, il parquet, eh no, dobbiamo segnalarlo… E io, Pierino, che ti frega, mica dobbiamo giocare qui tutta la vita, facciamo ‘sta partita e ce ne andiamo. Niente. Lui aveva già nel sangue il Dna del bravo ingegnere”.
Dino e gli scherzi
Pierlo:“Dino, un fenomeno nell’organizzare scherzi, bravissimo anche nelle imitazioni. Con Giulio Iellini e Marino Zanatta a fargli da spalla. Durante i Campionati europei del 1973 eravamo a Barcellona, alloggiati in un bellissimo castello trasformato in hotel con una magnifica piscina. Una sera dopo cena, mentre tutto lo staff era in riunione noi trovammo la piscina vuota. E scattò l’idea. Meneghin aiutò Giulio a scendere sul fondo della piscina, poi si precipitò in sala riunione urlando come un pazzo… Dottore, dottore (era il dottor Borghetti) corra, corra, subito, Giulio è caduto e credo si sia fatto molto male… Tutti i dirigenti, il presidente Vinci e coach Primo in testa, si precipitarono fuori, dirigendosi verso il bordo della piscina dove stazionavano con le mani nei capelli tutti gli altri giocatori, con qualcuno che sussurrava… si è tuffato… si è tuffato.. non ha visto… Arrivati sul bordo, nella luce spettrale della luna, agli occhi dei dirigenti si presentò uno spettacolo raccapricciante, con Iellini steso sul fondo della piscina vuota, a faccia in giù e in posa disarticolata. Solo un attimo di panico, prima che Dino urlasse: risorgi Lazzaro! E Iellini si rialzo sghignazzando…”.
Dino: “Chissà se Pierlo si ricorda del suo amico giornalista spagnolo – risatona – Una sera, mentre lui era già in camera lo chiamai dalla hall dell’albergo, contraffacendo la voce e presentandomi come un giornalista spagnolo che voleva intervistarlo. In uno spagnolo maccheronico, tanto non lo parlavamo né io né lui, in più io potevo fingere di imbastirci qualche parola di italiano. Yo soy un periodista espagnol! senor Marzorati, puedo far un poquito de pregunta? Poquito, poquito… Como estas senor Marzorati? Bonito, bonito… E avanti così, finché gli chiesi dove abitasse… A Cantù. Donde està Cantu? En provincia de Como! E io, como? E Lui, Como! E io, como? Avanti cosi per almeno 30 secondi, prima di scoppiare a ridere”.
Pierlo: “Eravamo in ritiro a Cortina, sapevamo che il nostro massaggiatore, Mister Crispi, a Ischia, dove abitava, tutti lo chiamavano Fofò. Dunque, quella sera, dopo aver studiato il copione con Meneghin, toccò a Marino Zanatta chiamare il Mister al telefono parlando con accento napoletano e la voce spezzata, concitata e confusa dalla disperazione… Fofò, Fofò, bradisismo, bradisismo… Fofò, bradisismo, la casa brucia… Fofò… la tua casa, Fofò hai da venì subito, subito, Fofò…”. Poi tutti nascosti a godersi lo spettacolo del Mister Crispi che si precipitava a chiedere il permesso di lasciare il ritiro”.
Dino: “Eh, già… Il Pierlo lo difendeva sempre… Tra lui e il Mister Crispi era nata una bellissima amicizia. Noi eravamo un po’ gelosi… Tu sei il suo cocco, lo accusavamo, il privilegiato, il lettino dei massaggi è sempre libero per te, e occupato per noi.”.
Pierlo: “Ma va… Era la scusa che vi inventavate per prenderlo di mira. Te la ricordi quella volta… Alle Olimpiadi di Monaco 72, prima dell’orribile strage, quando ancora c’era allegria. Quella sera che a cena c’erano le cotolette con l’osso, proprio tu lo hai fatto chiamare al telefono e approfittando della sua assenza gli avete mangiato la cotoletta (sua) e Iellini e Zanatta hanno riempito il piatto (suo) con tutti gli ossi (vostri). Che poi il Mister ci è rimasto male: Che è? Non sono il vostro cane!”
Pierlo Vs Dino
Dino: “Il Pierlo era unico, serio, troppo serio… Sempre all’Olimpiade di Monaco, c’era la squadra cubana di volley femminile che spopolava… certe sventole… Quando passeggiavano per il Villaggio olimpico eravamo tutti ammassati alle finestre… Il giorno che si allenarono dopo di noi decidemmo di fermarci a guardare l’allenamento (?), figurarsi, avremmo saltato anche pranzo e cena per lo spettacolo. Ce n’era una in particolare… Pierlo, gli ho detto, guarda quella, che gambe che non finiscono mai, e quel c… sotto le ascelle… E lui? Si, si, però… corre male!!!”.
Gavettoni? Frequenti inondazioni… Ricordiamo solo lo strike su Mirza Delibasic, che una sera durante gli europei a Spalato stava nel giardino dell’hotel a fumarsi una sigaretta, seduto sul bordo della vasca dei pesci rossi, quando gli arrivò una bordata e per schivarla finì direttamente nella fontana. O lo scacco del colonnello Anastasi di Roseto degli Abruzzi, anfitrione e organizzatore del Torneo delle Rose che ogni estate ospitava le migliori nazionali del Continente. Era un bersaglio privilegiato. “Ormai con lui era diventata una guerriglia di appostamenti – racconta Marzorati – Beccato! Gli urlavamo. E lui correva ogni volta a casa per cambiarsi. Un giorno tentammo la “doppietta”. Lo aspettammo mentre ritornava bello cambiato e asciutto, e giù un’altra secchiata. Ribeccato! Ma lui serafico: fatica sprecata, ragazzi, mi sono portato il cambio in macchina!”. Curiosa anche la dimenticanza di Roberto Brunamonti, che all’Olimpiade di Mosca una volta arrivato al campo si accorse di aver lasciato le scarpe da gioco al Villaggio olimpico, e fu costretto a giocare con le scarpette prese in prestito da un arbitro che aveva diretto la gara precedente.
Poi, per un attimo, tornano seri…
Pierlo: “Se vogliamo, Dino, nonostante la fulgida carriera, da un certo punto di vista è stato anche sfortunato. A Varese aveva in squadra attaccanti del calibro di Bob Morse e Manuel Raga, e il professor Nikolic lo relegava spesso a fare blocchi. Sbloccato, poi, a Milano da Dan Peterson con il famoso gioco “L” in coppia con Mike D’Antoni. Ho sempre vivo il ricordo della medaglia d’argento alla Olimpiade di Mosca 1980. Battemmo a casa loro i russi che avevano la montagna sacra, Volodymyr Tkacenko, 2 metri e 20 per 140 chili, Dino lo isolò completamente, giocando sempre d’anticipo, usando la sua proverbiale velocità di base”.
Dino: “Il Pierlo aveva una bella testa. Non nel senso dei capelli. Era intelligente e fisicamente potente. Un playmaker moderno. Portava in nazionale quello che allora era il marchio di fabbrica di Cantù: difesa e contropiede. Soprattutto, non aveva la palla attaccata alla mano con un filo, come lo yo-yo. Eri sicuro che, se la palla l’aveva in mano lui e tu ti smarcavi, quella palla ti arrivava puntuale”.
Quando fu istituito il premio di Mister Europa, nel 1976, il primo a vincerlo fu Pierluigi Marzorati, mentre negli anni seguenti (1980 e 1983) per due volte Dino Meneghin. Occorre dire altro?
M&M, Marzorati-Meneghin, P&P, play-pivot… Mai dire mai… Tuttavia non sarà facile che in Italia ne rinascono due uguali. Nella stessa generazione, in modo da poter giocare insieme… Almeno in nazionale.