Anche la seconda stagione va in archivio per la Basketball Champions League con delle F4 di Atene che hanno regalato mille emozioni e storie.
Quando di mezzo ci sono la capitale greca ed OAKA sport, epica e leggenda si mescolano come solo nelle narrazioni care alla terra di Omero. Non siamo ad Itaca ma il ritorno, da ogni angolazione possibile, è tratto distintivo di una storia (il successo dell’AEK) che sembra autentica predestinazione. Tornano a vincere in una competizione europea i gialloneri ateniesi, che ripetono il trionfo del 2000 nell’allora Saporta contro la Virtus Bologna, oltre al destino che dona la vittoria ad un Dusan Sakota la cui avventura meriterebbe da solo assai più di un ricordo, senza dimenticare il ritorno alla gloria in casa dopo l’epica impresa nel 1968.
CINQUANT’ANNI DOPO
Il 4 Aprile di quell’anno è il Kallimarmaron il teatro dell’epica vittoria dell’AEK sullo Slavia Praga, primo successo europeo per una squadra greca nella storia del basket continentale. Il balzo è quindi giusto di 50 anni.
Semifinali atto primo venerdì 4 Maggio 2018.
Si gioca ad OAKA, che è uno spettacolo a prescindere dai colori che indossa. Il vernissage spetta alla dominatrice della stagione Monaco, i monegaschi di fatto sono sostanzialmente imbattuti (una sconfitta ininfluente in stagione regolare una di un solo punto gestita nel ritorno dei quarti contro Banvit). A sfidarli la classica mina vagante, Ludwigsburg.
Dopo un primo tempo di rara bruttezza, soprattutto della squadra del Principato, gli uomini di Mitrovic prendono il largo agevolati da una panchina smisurata. Coperta assai corta quella tedesca: un ginocchio maledetto tradisce Sears, con Thiemann già fuori e nonostante le trappole a metà campo di coach John Patrick (decisive nel derby con Bayreuth che regalò il pass per le F4) diventa un’impresa impraticabile per mancanza di corpi ed energie. Il secondo atto è quello che premia l’AEK: i greci se la cavano contro un Murcia velenoso e insistente. La trimurti Harris-Punter-Sakota respinge in un finale da brividi i tentativi disperati di rimonta guidati da Soko, Hannah e Benite.
MVP, PANA E DINTORNI
Che sia una stagione magica, e forse irripetibile, per gli uomini di Dragan Sakota si evince anche dalla kermesse del sabato che precede la partita decisiva. Gala che vede la premiazione dei quintetti e dell’MVP, assegnato proprio ad una delle sorprese della stagione, Manny Harris.
Il prodotto da Michigan è il più classico dei journeyman da G-League: qualche brano di basket europeo in una valanga di minuti con le maglie più disparate della lega di sviluppo targata NBA. Lui e Punter (altro acquisto DOC a fari spenti della dirigenza ateniese che lo preleva a stagione in corso dai polacchi del Rosa Radom) sono le armi che spesso fanno saltare il banco nelle gare di playoff di BCL, con il board della coppa che analizza i primi bilanci della seconda stagione dietro la scrivania.
Il presidente Comninos parla di numeri interessanti, di un’oggettiva crescita del “bimbo” BCL che pare camminare con gambe più sicure. Non si scappa dal confronto a distanza con Eurocup, il massimo dirigente della competizione chiosa sornione sulla possibilità di “fuga” delle finaliste Monaco ed AEK a fine stagione verso il secondo torneo targato Eurolega.
Hanno avuto (i due club) già la possibilià di farlo eppure sono ancora qui, evidentemente la qualità della competizione e il progetto di BCL li convince appieno.
Indiscutibile la crescita del torneo nella sua qualità intermedia. Inarrivabili i vertici delle sfide di Eurocup (Darussafaka vs Kuban è legittimamente finale dal sapore di Eurolega), più esteso il numero in BCL di squadre con pedigree in crescita nelle varie competizioni nazionali. A tutto va aggiunto il flirt in itinere tra FIBA Europe e Panathinaikos, vero convitato di pietra che cambierebbe la geopolitica delle coppe internazionali. Percorso ancora preliminare e con tante incognite e la furia iconoclasta dei Giannakopoulos nei confronti del boarder di Eurolega potrebbe essere congelata dall’effetto estintore delle penali che i verdi dovranno pagare, in caso di rescissione anticipata, dal “patto” con Bertomeu e soci. Affare poco probabile per il prossimo anno, non impossibile per quelli a venire sembrano suggerire i venti che accarezzano l’Acropoli.
MONACO, FINAL FOUR STREGATE
Non sarà più uno scenario da guerra fredda, come nella finale del 1968, ma in termini di vento quello dell’Est spira forte in quel del Principato. A spingere la macchina quasi perfetta di coach Mitrovic, dominatrice da tre anni della regular season in LNB, vincitrice di tre final eight consecutive e già alle Final Four di BCL lo scorso anno, c’è il patron ucraino Dyadechko con tutto il suo staff nobilitato dalla presenza di Sasha Volkov in veste di ambasciatore d’eccezione.
Dall’altra parte la storia, un OAKA che ribolle per una volta solo di sangue giallonero, il tutto mentre infuriano temporali sulla capitale greca, sintomo che Zeus e le divinità olimpiche sorvegliano l’area. Sarà per le saette del Padre della mitologia ellenica, oppure più probabilmente per i 20mila spiritati di OAKA, che i monegaschi iniziano con un timore eccessivo, accentuato dalla carica enorme con cui Green e compagni approcciano la sfida. I padroni di casa prima dominano poi si fanno risucchiare dalla rimonta biancorossa con un Gladyr mai domo. Tardivo e frutto dell’improvvisazione di Robinson il recupero dei leader della LNB. La creatività al potere di DJ Cooper e l’approccio da marine dell’ex Trento Craft (out per falli insieme ad Amara Sy) incarnano perfettamente virtù e limiti di una cabina di regia che si accende solo a sprazzi. Il vero traditore della causa è Kikanovic, non fatevi ingannare dalle statistiche quasi benevole, l’ex Alba non incide mai sulla partita sonnecchiando nei momenti in cui serve più il machete che il fioretto. Nel finale Green, primo tempo da MVP per l’ex veneziano poi ultimi 2 minuti di cineteca degli orrori, prova ad incartare un De Beers che gli ospiti, noblesse oblige, rifiutano con aristocratica eleganza.
ZEUS ED IL TRIONFO DI SAKOTA
OAKA può esultare, grazie anche a quattro punti di un Sakota chirurgico come sempre in tutta la stagione. Sua la bomba da sliding doors contro Bayreuth che ha regalato agli ateniesi il rocambolesco pass per i playoff. Quattro come i minuti in cui il suo cuore cessa di battere all’ospedale di Pesaro nel 2010, in cui riesce ad arrivare grazie alla tempestività del team manager Alessandro Barbalich, ringraziato (come tutta la Pesaro che lo sostenne) dal ragazzo di origine serba in un toccante messaggio durante i festeggiamenti post partita. Una retina attorno all’intestino (frutto di un successivo intervanto a Barcellona) è il ricordo di quei 68 giorni tra la vita e la morte, che consentono ora a Sakota di giocare. Una retina, recisa dai canestri di OAKA, che adorna il suo collo il simbolo della vittoria. Per una volta la tragedia lascia spazio il trionfo del lieto fine.