Durante il giorno di riposo della Frecciarossa Final 8 2024, abbiamo avuto l’occasione di incontrare in esclusiva Langston Galloway. A meno di 24 ore di distanza dall’esplosione offensiva del secondo tempo contro la Virtus, che ha portato l’UNA Hotels Reggio Emilia a giocarsi l’accesso alla finale di Torino con la GeVi Napoli, è stata l’opportunità di parlare non solo dell’importanza della vittoria contro le Vu Nere per la stagione di Galloway e della Reggiana ma dell’impatto a 360° dell’ex Suns e Pistons con la realtà europea e italiana.
Ciao Vecchio, come Michele Vitali ti ha chiamato in zona mista! Iniziamo proprio da qui: non è strano per un giocatore così esperto e così impattante sul parquet non essere anche il capitano, il primo uomo a relazionarsi con gli arbitri e i compagni? Come descriveresti il tuo rapporto con Miki?
Bellissimo rapporto. Ho grande rispetto per lui e per quello che ha ottenuto in carriera. È anche molto divertente rapportarmi con lui. Ma è stato anche molto divertente imparare l’italiano ogni giorno con lui. Mateo, Cipo, Lorenzo… tutti mi hanno insegnato ogni giorno, cercando di guidarmi attraverso ciò di cui parlano. Ed è stato anche sfidante, quindi molto divertente, da questo punto di vista, fuori dal campo. Ma in campo ci siamo divertiti. Molti alti e bassi in questa stagione, ma molto divertente. Circa 10 o 11 anni fa, mentre giocavamo a scuola, abbiamo fatto un tour scolastico qui in Italia. È stata un’esperienza fantastica. Non sapevo che in futuro, non sapevo che avrei giocato qui ora. Ma è stato un viaggio divertente. Essere in grado di giocare qui, avere un impatto così forte su una squadra, e vedere un’organizzazione e una città dietro di te è davvero d’impatto. Io el la mia famiglia ce la stiamo godendo, stiamo affrontando un giorno alla volta.
A proposito di famiglia, quanto è importante per un atleta professionista avere un equilibrio fuori dal campo? La tua linea di scarpe, con il ruolo di tua moglie e dei tuoi figli nella tua vita: come puoi spiegare a una generazione più giovane che bisogna costruire anche intorno al campo e non basare tutto sulle proprie performance?
Questa è la cosa più importante per me. Non posso parlare per tutti, ma ho imparato a dare equilibrio a tutto. All’inizio della mia carriera era tutto basket, e mi sono un po’ bruciato. Quando sei al college o alle superiori, hai un equilibrio tra scuola, istruzione e devi preoccuparti del basket, quindi hai quell’equilibrio. Ma nel corso della mia carriera mi sono concentrato sul basket, e mi sono un po’ esaurito, passando attraverso le partite, quindi ho pensato che dovevo trovare qualcosa che mi aiutasse a bilanciare. E il business è stata una di quelle cose che è stata molto importante per me: c’è un sacco di pensiero che è diverso da quello che hai sul campo, ma allo stesso modo importante perché devi trovare un modo per fondere tutto in un’unica unità. Io e mia moglie siamo una squadra, ma allo stesso tempo abbiamo opinioni diverse sull’attività. E così, in un attimo, lei potrebbe parlare di questo, e io devo adattarmi, o forse sto parlando di qualcosa che mi piace davvero e che toccherà a lei aggiustare. È stato divertente. Un sacco di alti e bassi nel business, alla fine essere imprenditore significa questo. Ci saranno sempre tracce sulla strada, ma quest’anno, avendo Ethics The Brand qui in Italia e vedendo così tanti fan nella comunità di Reggio comprare e indossare le mie scarpe, è stato molto bello vederlo. Abbiamo molto in serbo, stiamo per aprire altri punti vendita qui in Italia.
A proposito di alti e bassi, come si può spiegare per un gruppo con così tanti giocatori di esperienza (Smith, Weber, il gruppo di italiani…), avere prestazioni così belle come quella di ieri contro la Virtus e altre partite in cui sembravate quasi un non-gruppo di pallacanestro? Non penso sia una questione mentale, ma quanto è complicato a livello tecnico trovare un insieme?
È stato strano dire la verità che una partita funzioni bene e la successiva male. Ci sono stati molti alti e bassi, il che è strano. Non lo so. All’inizio della stagione continuavamo a spingere, ma di recente stiamo imparando come squadra a giocare in squadra, anche in base all’infermeria. E penso che fino a quel punto non abbiamo avuto molte salite e discese lungo il percorso. È andato tutto bene. E penso che in queste ultime sei settimane ci siano stato un sacco di alti e bassi. Stanno succedendo un sacco di cose e stiamo cercando di capirlo. Come squadra abbiamo cambiato le dinamiche, dobbiamo continuare a migliorare. E penso che tutti intorno in LBA siano migliorati. Hanno aggiunto i pezzi giusti, hanno tolto pezzi altrettanto superflui. E penso che ora abbiamo l’opportunità di guardare a ciò che abbiamo fatto e vedere quante vittorie avremo, quante ce ne serviranno per raggiungere i nostri obiettivi.
La gara contro la Virtus spiega molto bene cosa significhi per te avere consapevolezza dei propri mezzi. Hai mantenuto la fiducia nonostante non abbia segnato per i primi 17’ di gara, sei rimasto calmo e hai lasciato che la partita venisse a te. Quanto sei stato soccorso dalla tua esperienza in NBA e tutte le dinamiche che hai vissuto?
Sono sempre stato un giocatore che ha evitato di prendersi troppi strappi. Ho sempre cercato di inserirmi nel ritmo della gara. Questo significa riconoscere quando accontentarsi dei tiri aperti o quando forzare qualche conclusione. Significa leggere la gara dei miei compagni e adeguarmi. Significa lavorare per essere pronto a inserirmi nel ritmo gara. Sia con la Virtus che nell’ultimo periodo ho avuto diversi momenti della gara in cui ho fatto fatica, è stato un ottima test per mettere alla prova ciò che faccio ogni giorno in palestra. Una volta che decidi di prenderti un tiro o fare una giocata per i tuoi compagni l’hai fatta, sei responsabile per ciò che sei in campo. Non ero minimamente preoccupato se i canestri non entravano, avere fiducia di poter impattare sempre è fondamentale. Se fai di tutto per far andare le cose nel verso giusto, tutto verrà.
È stata questa la partita non più importante ma quella dove ti è stato richiesto di più nella tua carriera? Hai giocato partite anche nei Playoff NBA ma non come go-to-guy, non con tutta questa responsabilità a questo livello. La novità è stata grande o ti eri preparato?
Durante la mia carriera, giocando fin dai tempi del liceo, essere l’uomo principale significa sapere che l’altra squadra ha il tuo nome sulla lavagna, parla di te in spogliatoio, cerca di mettere il suo miglior giocatore su di te. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho ricevuto molte attenzioni. Durante i miei primi due anni in NBA, direi che ho avuto molta attenzione, ma negli ultimi anni non così tanto. Ho giocato bene e ho il dovere di essere il miglior giocatore della squadra e giocare con quell’intensità. Questo è il mio primo anno di esperienza di apprendimento per competere nel basket internazionale, oltre al basket FIBA. La dinamica mi piace molto: all’inizio non mi ero abituato a guardare in questo modo le partite, vedere come le squadre mi avrebbero cercato di togliere dalle partite, è stato divertente. Ho avuto alti e bassi, da qualche mese sono in grado di giocare come un giocatore diverso.
Davvero eccitante vedere un atleta ultratrentenne che cerca di sperimentare se stesso su un altro pianeta rispetto all’NBA e al basket americano. Cosa ti ha convinto ad affrontare a questa nuova esperienza? Forse i contatti con altri professionisti americani qui in Europa? Sappiamo che tu e Kyle Hines avete un buon rapporto…
Sì, ero molto entusiasta di parlare con Kyle, mi ha dato molte opzioni. È il mio fratello maggiore. Mi ha dato molte risposte diverse su dove andare, quale fosse l’opzione migliore per me per andare avanti con la mia carriera, capire quale fosse il prossimo passo. Un sacco di gente mi ha detto che potevo starmene in solitudine e rilassarmi. Io ho risposto: Voglio giocare! Sono un ragazzo che ama giocare, amo la competizione. E mi sono chiesto “Perché non riprendere la mia carriera in un posto con tanta storia?” E poter iniziare alla Pallacanestro Reggiana, poter vedere i tifosi così entusiasti del basket, mi ha aiutato a decidere per Reggio. L’ho visto negli allenamenti con coach Priftis, parlando con Claudio Coldebella: ho visto degli aficionados della pallacanestro! E quindi per me, venire qui e vedere i ragazzi che erano già in palestra e aggiungere a questo, ho detto “Questa sarà una grande opportunità per me, non solo per giocare e fare quello che faccio, ma per divertirmi e amare di nuovo il gioco che amo”. Mostrerò sempre il massimo dello sforzo, perché metterò tutto e ancor di più nel prendermi cura di me stesso.
Tornando per un attimo indietro ai giorni in NBA, come hai gestito il periodo della Bubble? Coi Pistons non sei andato a Orlando, hai smesso di giocare… Com’è stato quel periodo in cui sei stato al sicuro con la tua famiglia, ma non giocando a basket, la tua vita? Com’è stato quel periodo?
È stato molto difficile. 9 mesi senza giocare a basket è stato molto difficile, mi ha fatto pensare anche al calcio fuori dal campo. Come sarà la mia vita in futuro? Non solo pensando al basket, ma quando voglio ritirarmi e appendere le scarpe al chiodo, cosa voglio fare? Voglio poter stare con la mia famiglia. Abbiamo anche iniziato a studiare Ethics. Ho iniziato con il mio marchio di scarpe e ho avuto un piano per svilupparlo. È stato un momento fondamentale per me, non sapevo cosa volevo fare e ora, guardandomi indietro, non l’avevo mai fatto prima. Molte persone hanno lottato molto in quel periodo, ma mi sento come se ne fossi uscito e avessi aiutato la mia famiglia.
Infine, alcune domande veloci per concludere. Chi sono i giocatori più sottovalutati con cui hai giocato o contro cui hai giocato in NBA nella tua carriera? Non solo la tua posizione o guardia, ma ciò che hai affrontato.
Farò un nome per ogni posizione. Playmaker: Kyle Anderson, ai tempi del college a Richmond. Ottimo play. Guardia: difficile, andrò con Aaron Afflalo. Ho giocato con lui ai Knicks, ho imparato molto da lui quell’anno. Come 3: ho giocato con molti, ma probabilmente scelgo Solomon Hill. 4: Thaddeus Young. 5: andrò con Kyle O’Quinn. Sono giocatori sottovalutati. Non si sono presi i merito, non si è parlato abbastanza di loro, ma sono grandi giocatori.
Siamo in Italia, non possiamo non parlare di cibo. 3 specialità di Reggio che ti hanno fatto innamorare?
Beh, tutti i miei saranno vegani. Vediamo, vado con la colazione. Veneziana con l’Uvetta. A pranzo scelgo gli gnocchetti, credo si chiamino così. Per cena, andrò con una pasta con burro e spinaci. Molto bene, sì. A Reggio è difficile essere vegani (ride, ndr)!
L’episodio più iconico dello spogliatoio di Reggio Emilia in questa stagione, il primo che ti viene in mente?
Wow! Ci sono così tanti episodi accaduti quest’anno. Probabilmente la vittoria in casa contro la Virtus Bologna. È stato un momento molto importante. Non solo per la squadra, ma anche per i tifosi e per la città. Ricordo di aver vinto quella partita e di aver visto quante risate e quante persone non credevano che ce l’avremmo fatta. Tutti sono molto entusiasti di vedere una partita di pallacanestro.
L’ultima. 5 giocatori che guardi e dici “Beh, lui sa tirare meglio di me. Se avessi un pallone e lui fosse nella mia squadra, gliela passo sempre”?
Scelta difficile: farò il nome di Smitty (Jamar Smith, ndr), il mio partner, può tirare in ogni modo. Buddy Hill, un altro che può prendersi ogni tiro. D-Book, un altro capace di segnare in qualsiasi modo. Carmelo Anthony, sicuro. E l’ultimo, Reggie Bullock. Con questi 5 farei gare di tiro a ogni allenamento!
Giusto nei quarti di Final 8 hai affrontato Marco Belinelli. Penso che sia usurante affrontarlo in campo: corre, sempre pronto a tirare, un vortice lontano dalla palla…
È un fattore clamoroso. È sempre in volo (letterale, ndr): è un grande regalo per la tua carriera, affrontarlo a questo livello. Ha una carriera NBA a San Antonio che tanti sognano, ha vinto campionati lì. E ora è tornato a casa e gioca per la Virtus Bologna. È una grande opportunità tornare a casa e giocare.
Grazie, Langston. Grazie per il tuo tempo.
Di niente!