Come dividersi tra il ruolo di scout dei Chicago Bulls e organizzatore dello scouting dell’adidas Eurocamp di Treviso? Gianluca Pascucci, con un passato da allenatore e dirigenziale anche in Italia, è ormai solito avere i piedi in due scarpe potenzialmente in contrasto tra loro: ci ha spiegato, in un’intervista esclusiva, non solo come gestire il rimbalzo di responsabilità, ma anche qualche dinamica della pallacanestro contemporanea che solo un decano delle scrivanie NBA e internazionali sa cogliere.
[NB: L’intervista è stata realizzata prima che fosse comunicato il passaggio ufficiale di Gianluca Pascucci alla dirigenza dei Detroit Pistons]
Siamo all’adidas Eurocamp, e chi meglio di lei per descrivere l’importanza di aver riportato quest’evento per il secondo anno in Italia?
Beh, ormai era diventato un evento che faceva parte del calendario della pallacanestro mondiale. Veniva gente dagli Stati Uniti e da tutto il resto del mondo fino qui a Treviso: sicuramente quei 5-6 anni che il camp non si è fatto è stata una grossa mancanza nel calendario dello scouting e del basket internazionale.
Dobbiamo sempre ringraziare ovviamente adidas e tutte le persone coinvolte nell’organizzazione, a cominciare da Elena e Michele, per aver fatto questo sforzo incredibile. Aver fatto ripartire la macchina dell’anno scorso non era banale: una volta che poi si è rimessa in moto, la speranza è che non si fermi più un’altra volta.
Qual è l’aspetto più difficile, di cui magari non ci si rende conto da fuori, nell’organizzare un evento come questo? Noi vediamo solo il prodotto finale, tre giorni di allenamenti e gare…
Beh, sicuramente c’è un lavoro dietro di tante persone per diversi mesi per coordinare tutto. Non solo quello che succede in campo: quello che accade magari sugli spalti, il calendario e l’alternanza degli ospiti, le persone che vengono a vedere il camp come semplici appassionati, gli addetti ai lavori non solo delle franchigie NBA ma anche quelli europei oppure italiani.
Quest’anno abbiamo introdotto anche il Team World: ci sono giocatori che vengono da ogni parte del mondo, non solamente europei o dall’America. Ci sono ragazzi e interessi dalla Nuova Zelanda, dall’Africa, dal Giappone, dalla Cina… Potete immaginare anche da un punto di vista del coordinamento dei voli, dei visti e tutte le varie dinamiche burocratiche e logistiche, non strettamente legate alla pallacanestro ma essenziali per poi far sì che i tre giorni di camp si svolgano nel miglior modo possibile.