Gigi Datome – L’universo in un guscio di noce

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Italia-Lettonia è la partita che nessuno vorrebbe giocare. Rimanere ancora lì, dopo che hai accarezzato il sogno appena 48 ore prima, e dover onorare la competizione senza trasformare la gara in un’esibizione grottesca e ridicola, non è per tutti. Nel secondo quarto la squadra di Pozzecco gioca per una ricezione dopo un blocco in allontanamento per il numero 70, Luigi Datome da Montebelluna.

La ricezione non è perfetta, i passi calcolati per staccare precisamente dall’angolo sono millimetrici ma il passaggio è leggermente arretrato. Il 70 potrebbe comunque tirare, ma non sarebbe nelle condizioni ideali, dovrebbe modificare la meccanica su cui ha lavorato per chissà quante ore in palestra. Potrebbe comunque perché la partita è quella che è, non ci si gira intorno, con un pizzico di timore reverenziale in meno a causa di una posta in gioco relativa. Il recupero della difesa lettone è puntuale. Il 70 potrebbe forzare, invece non lo fa. Finta comunque di voler concludere, facendo saltare il difensore sul closeout. Un palleggio, due palleggi sulla linea di fondo. Gražulis compie un paio di scivolamenti dal centro dell’area.

Il 70 non riuscirebbe ad arrivare al ferro in entrata, il baltico vincerebbe sicuramente il duello fisico. Allora il 70 si arresta e, in leggera sospensione, modifica leggermente la parabola del tiro per evitare le braccia del difensore. Solo retina. Una giocata immacolata, ideale per concetto, esecuzione, capacità di reagire e adattarsi al contesto. L’avrebbe fatta in gara7 delle LBA Finals come al King of The Pilo, insieme a compagni da Final 4 di EuroLeague o coi bambini dei quartieri di Manila. Perché a rendere onore sono capaci in molti, ma a nobilitare il Gioco sono in pochissimi. E Gigi Datome, il 70, è uno tra questi.

“Estasiato”, così commentava coach Trinchieri in telecronaca dopo questa giocata. Estasiati dall’applicazione e dalla gestione dell’essere un atleta professionista lo sono stati tutti gli addetti ai lavori e gli appassionati che hanno incrociato anche solo tangenzialmente la traiettoria di Datome. Gigi è sempre stato estremamente consapevole di ciò che fosse e ciò che potesse dare nei singoli contesti e gruppi vissuti. Giovane mai pienamente valorizzato, prima opzione offensiva, cestista di formazione europea snobbato dal contesto NBA, leader difensivo ed emotivo di un collettivo vincente, simbolo per abnegazione e disponibilità a trasformarsi in specialista dalla panchina in seguito a infortuni sempre più debilitanti. Gigi ha vissuto l’intero spettro di quel che si potrebbe provare sulla propria pelle durante una carriera a quei livelli. Ha dato sempre il massimo, il 100%, senza tirarsi indietro né strafare, senza rinunciare né pretendere o prevaricare.

“F*ck you Gigi Datome!”, epiteti non trascrivibili durante timeout o rientri in difesa. In uno sport dove se esiste un ruolo psicologicamente più dispendioso di quello da giocatore c’è per certo quello del coach, il rispetto della guida tecnica si misura anche nel rapporto e nella comunicazione durante allenamenti e partite. Avere a che fare con Željko Obradović ed Ettore Messina è un privilegio, ottenere il loro rispetto comporta anche la necessità di assorbire i loro sfoghi senza assolutizzare e prenderli alla lettera o sul personale, lasciandoseli scivolare addosso consapevoli che quelle parole e quelle libertà che si prendono sono riservate solo a chi ha la maturità per guardare oltre, al di là della siepe, e sapere che quella botta momentanea non si trasformerà in un livido per l’intera squadra.

C’è chi si fa odiare da tutti, chi solo da alcuni, chi ottiene rispetto e ammirazione dall’intero ambiente che frequenta. Per questo motivo tutti i tempi passati per descrivere la carriera da giocatore di Gigi Datome sono destinati a mutare in presente e, perché no, futuro. Perché per un atleta che ha racchiuso tutte le possibili sfumature e i ruoli sul parquet c’è e ci sarà un essere umano che sa interpretare e modulare la propria presenza. Siena, Scafati, Roma, Detroit, Boston, Fenerbahce, Milano, Italia, mondo della pallacanestro globale. C’è stato un Gigi Datome, c’è e ce ne sarà sempre un altro.

 

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