Fredette torna in NBA: la carriera e la Jimmer mania

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Fredette

Sono passati 3 lunghi anni da quando Jimmer Fredette lasciò i New York Knicks per approdare agli Shangai Sharks, nella lontana Cina. L’estremo oriente, in un certo senso, ha giovato alla carriera della point guard scuola Brigham Young University (BYU). 36 punti di media rappresenta una statistica di livello che ne conferma il valore. Un abisso, insomma, rispetto alla media nella lega americana di appena 6 punti a partita. Ma l’NBA ha un fascino unico e irresistibile, irrinunciabile quando ti richiama a sè. E così è stato per lui.

Oggi il mito preferito di tutti i tifosi di college basket è tornato a casa. L’icona dell’NCAA che aveva fatto impazzire gli USA e non solo torna nella pallacanestro dei grandi.

RITORNO A CASA

A volte ritornano. E per la shooting guard dei Suns il comeback è quello dei predestinati, proprio in quella Sacramento che lo selezionò come decima pick al draft del 2011.

È stata un’emozione speciale tornare dove ho esordito nella mia carriera da professionista. Vedere così tante facce familiari e come la città sia cambiata nel tempo… Sono felice di essere tornato, le sensazioni sono diverse naturalmente di quelle provate in Cina in questi ultimi anni. Raccogliere esperienza e ricordi da così lontano è stato unico. Ma non c’è posto in cui mi senta a casa come in NBA.

Questo un estratto dell’intervista post partita di Fredette al suo ritorno in quel di Sacramento. Sebbene i Suns abbiano subito l’ennesima sconfitta (112-103) in una stagione da dimenticare (attualmente occupano il 15esimo posto in Western Conference) la partita ha avuto un sapore speciale, tale da riaccendere l’entusiasmo dei fan.

Coach Kokoskov, per l’occasione, gli ha concesso 4 minuti. Nella sua partita Jimmer ha tentato in due occasioni il tiro, senza andare a segno. I 2 rimbalzi difensivi e il tiro da 3 tentato successivamente (e poi fallito) completano la sua breve apparizione sul parquet dei Kings.
Ma ciò che è trasparito da questo ritorno in NBA sono state indubbiamente un’attitudine e una voglia di fare delle più promettenti, muovendosi a più riprese lungo la linea da tre punti per farsi trovare pronto al tiro.

IL PERCORSO IN NBA

Un giocatore come tanti“. Un’espressione tanto severa e netta quanto eloquente, a testimonianza della carriera da professionista (fin qui) nel complesso anonima di Jimmer Fredette. Le premesse pervenute dal suo percorso in NCAA facevano presagire a una futura star, ma così non è stato, non riuscendo a mantenere quegli standard di rendimento e popolarità che lo resero unico e amato nel mondo del college.

La storia fra i professionisti di Fredette comincia il 23 giugno 2011, quando viene scelto dai Milwaukee Bucks. Viene poi immediatamente girato ai Sacramento Kings nell’affare con gli allora Bobcats, che vedeva coinvolti una lunga lista di giocatori (John Salmons, Beno Udrih, Shaun Livingston, Corey Maggette, e Stephen Jackson).
Jimmer incarna un fenomeno mediatico e di marketing unico nel suo genere: al suo approdo nel team californiano le vendite delle maglie aumentano del 540%. Tutte sue quelle vendute, nel segno di una “Jimmermania” più forte che mai. Ma in 6 anni fra i professionisti non ha di certo lasciato il segno.

In 235 presenze in NBA, infatti, ha collezionato una media di 6 punti, 1.4 assist e 1 rimbalzo in 13.4 minuti a partita. E per quanto le statistiche lasciano spesso il tempo che trovano, sono qui utili a sintetizzare quella che a tutti pare una “mancata occasione” nella pallacanestro che conta. Negli anni ha girato per Sacramento, Chicago, New Orleans e New York, senza incidere come ci si sarebbe aspettati da uno come lui.

LA JIMMERMANIA

Per quanto non abbia mai vinto nulla, il nome di Jimmer Fredette sarà sempre una parola magica, un pezzo di storia della NCAA. Ma da dove nasce la “jimmermania”?
Figlio della BYU nello Utah, così lontano dallo stato di New York in cui nacque, la fede mormone lo spinse lontano da casa. Dopo due stagioni nel complesso positive la terza è quella della consacrazione. Segna 49 punti ad Arizona in un’inaspettata vittoria esterna dei Cougars, mostrando a tutti il suo stile tutto tiro da fuori, acrobazie in entrata e improbabili tiri cadendo indietro. La follia al servizio del gioco e dello spettacolo, questo è Jimmer Fredette. Un pazzo spettacolo calibrato e ponderato al servizio della vittoria, nel segno di un ragazzo semplice e dall’espressione sbarazzina.

L’icona che è diventato nei suoi anni al college ha un sapore unico e inconfondibile. Gli viene dedicata un’improbabile canzone hip hop, finisce sulla copertina di “Sports Illustrated”, e arriva a ricevere gli elogi da Barack Obama al momento della compilazione del bracket in diretta nazionale. Viene addirittura creato un verbo, “to jimmer”, per descrivere la martellante opera di distruzione che compiva ai danni dei propri difensori.

IL SENIOR YEAR

Il percorso dei Cougars, compiuto nel segno del suo genio al senior year, è davvero straordinario. Jimmer segna come una macchina, BYU vince in un’inarrestabile avanzata vero le fasi finali. La vittoria contro San Diego State (allora quarta nel ranking) e i 52 punti messi a segno nella semifinale di Mountain West Conference portano BYU nell’Olimpo delle grandi del college.

La formazione dello Utah avanza nel segno della sua shooting guard: i 33 punti a partita di Jimmer conducono i suoi allo Sweet 16. La sconfitta in quel di New Orleans contro i Florida Gators ha il sapore amaro, ma rimane iconica e indimenticabile nel suo divenire. Nella prima frazione i Cougars soffrono, con Fredette che fatica non poco al tiro. Il destino della partita sembra ormai scritto. Ma nel secondo tempo arriva la reazione e BYU riapre la partita.

L’azione che segue ha dell’incredibile. 63-60 Florida, 5’ dalla fine. Jimmer prende l’apertura, trotterella oltre la metà campo, finge di voler chiamare uno schema. E invece spara all’improvviso, da 9 metri. Come se fosse un tiro libero. La palla entra, la New Orleans Arena impazzisce, con tutti in piedi ad acclamarlo. Le successive scelte dell’incontro si rivelano sbagliate e condannano i Cougars all’eliminazione.
L’essenza della “jimmermania” riassunta in un’azione iconica, che insegna che le emozioni del basket, specie a livello collegiale, non si misura in titoli vinti, ma in emozioni regalate.