Un digiuno durato 941 giorni aveva abituato il nostro stomaco a non godere più di una delle primizie più prelibate dell’universo cestistico. Saziarsi di pallacanestro senza poterla condire con i movimenti e i canestri di Klay Thompson è una delle privazioni più dure alle quali l’appassionato poteva essere condannato. Per fortuna, il periodo di astinenza è finito. A 941 sere dall’ultima volta, Klay è tornato. Dopo aver officiato il funerale della Oracle Arena in quell’infausta gara 6 contro i Raptors, nella notte la guardia di Golden State ha tenuto il personale battesimo del parquet del Chase Center. Con giusto un paio di anni di ritardo rispetto al resto della compagnia. Ma, soprattutto in questo caso, meglio tardi che mai.
Prima azione offensiva degli Warriors. Palla in punta ad Andrew Wiggins. Steph Curry inizia il vorticoso movimento senza palla all’altezza. Taglia centrale in area, per liberarsi nell’angolo. Nel frattempo, Juan Toscano Anderson esegue un pin down sul lato debole, favorendo con un proprio blocco l’uscita di Klay. Il lavoro certosino del numero 11 porta con sé un vantaggio di spazio nei confronti del marcatore diretto, costringendo Cleveland a cambiare. Poco male: sulle tracce di Thompson c’è Jarrett Allen, uno dei lunghi migliori se si parla di switching dell’intera NBA. Klay, senza paura, attacca il ferro. Nonostante le prolunghe del centro dei Cavs, il tocco è morbidissimo. Floater. Primi due punti, suoi e di Golden State. Come se non fosse passato che un giorno.
Steph's son Canon gave Klay the game ball after his season debut 🏀
(via @warriors)pic.twitter.com/puxbG4Xoqk
— Bleacher Report (@BleacherReport) January 10, 2022
Ciò che meglio descrive l’importanza di Klay nel sistema Warriors non sono tanto i primi canestri. Né tantomeno i 17 punti finali. Andate a guardare le ultime due azioni contenute negli highlights che faranno il giro dei social nel corso della giornata. La difesa in aiuto con stoppata annessa sul jumpshot in allontanamento di Lauri Markkanen parla di un Klay logicamente non al massimo della condizione, ma mai realmente disconnesso dal sistema creato da Steve Kerr in entrambe le metà campo. Tuttavia, niente come l’ultimo canestro della serata ha fatto percorrere di brividi di gioia le schiene di tifosi e appassionati. In semi transizione, l’#11 riceve in punta sui 9 metri da Jordan Poole. Il 95% dei giocatori NBA non sarebbe pericolosa in quella zona del campo. Invece a Thompson basta una finta per far saltare Stevens. Looney si avvicina per portare il blocco. Stevens passa bene dietro al blocco, ma è troppo tardi. È sempre stato troppo tardi, se il tuo avversario si chiama Klay Thompson. Rilascio perfetto. Tripla. +13, fine virtuale della partita con ancora metà quarto quarto da giocare.
7/18 dal campo in 20 minuti non sono cifre memorabili. Ma nella storia di Klay quella di stanotte sarà annoverata tra le partite da ricordare. Perché tornare dopo il terribile infortunio e la successiva ricaduta non era affatto scontato. A sorprenderci non è tanto il Thompson che si è visto punire in transizione la distratta difesa di Cleveland. È il solito Klay, ci verrebbe da dire. A stupirci è proprio il vederlo in campo. Purtroppo, ci eravamo abituati a un basket senza di lui. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. A piccole dosi, com’è giusto che sia, occorre anche a noi riabituarci ai piccoli piaceri. Che siano un’uscita dai blocchi, un aiuto difensivo o una tripla senza senso da 9 metri. Grazie Klay per essere tornato. Ci eri mancato.