Lo diceva anche Andrea Meneghin durante la telecronaca di Tortona-Sassari: “Il mestiere dell’arbitro è il più difficile”. Per fortuna del figlio di Dino non gli è toccato commentare il secondo antipasto ufficiale di Legabasket 2022/2023: chissà quali perifrasi avrebbe dovuto elaborare per esprimere, con garbo e compostezza, una critica puntuale a scene che, su un campo di pallacanestro, speravamo di non dover più vedere.
Quando, nell’analizzare Olimpia-Virtus di mercoledì 28, si parla di scarsa qualità diffusa, il riferimento alla prestazione del terzetto in grigio è automatico. Una premessa è doverosa: l’arbitraggio non condiziona il risultato finale di una partita, in un qualsiasi sport. O meglio: non lo condiziona in percentuale maggiore rispetto agli infiniti aspetti tecnici, tattici, strategici e psicologici che caratterizzano lo scorrere del match. Le recenti discussioni settembrine riguardo ai fischi di Eurobasket, non all’altezza di una competizione raramente mostratasi sui livelli di quest’anno, hanno alimentato le le polemiche anche nel Belpaese, cronicamente patria di ricerca di alibi e capri espiatori, dove il mancato raggiungimento dei propri obiettivi è messo sempre in secondo piano rispetto alle delusioni altrui. Però…
L’highlight della serata è stato spiegare le regole della LBA e alcune scelte quantomeno discutibili degli arbitri ai giocatori del @BresciaOfficial insieme a @cesaremilanti #FrecciarossaSupercoppa2022
— Spel (@spel81) September 28, 2022
Però c’è un limite. Anche alla luce delle dichiarazioni del nuovo Commissioner Luigi Lamonica, la gestione del metro e dei tecnici durante la semifinale di Supercoppa è onestamente incomprensibile e ingiustificabile. La qualità dei quintetti messi in campo da Scariolo e Messina è stata, eufemisticamente, non eccelsa. Ma il trio Rossi-Attard-Giovannetti non ha fatto nulla, nulla, NULLA, per rendere la vita facile a squadre in pieno rodaggio. Si sono adeguato al contesto scadente, estremizzando le difficoltà palesatesi già nelle scorse Finals: non abituati a gestire questo tipo di corpi, contatti, fisicità, le decisioni non fanno altro che innervosire panchine, staff, giocatori e spettatori.
Quasi come se, nella logica perversa evidenziata nel corso dei 45′, i grigi abbiano voluto mandare un messaggio: “Avete resistito fino ad adesso? La vostra passione e amore per il Gioco vi ha portato a tenere gli occhi aperti come in Arancia Meccanica, nonostante gli errori e la fatica? Perché non prolungare l’agonia di soli altri 5 minuti?”. D’altronde, se si commette un’errata valutazione, meglio farla in maniera marchiana. Ma qui siamo a livelli pacchiani e patetici. Cerchiamo di guardare il lato positivo: la squadra arbitrale ha davanti a sé mesi e mesi per migliorare quel dialogo e rapporto tanto millantato con gli allenatori.
Siamo sinceri: la partita di ieri, e scusate il francesismo, fregava relativamente. E le polemiche si quieteranno a strettissimo giro di posta, sostituite da altre priorità ben più urgenti. Tutto è bene quel che finisce bene, ma chi ben comincia è a metà dell’opera. Altro che metà: qui siamo alla frutta. La direzione della finale tra Dinamo e Bologna è una luce in fondo al tunnel? Buona fortuna, FIP. Per aspera ad astra.