Vederlo non in glaciale controllo delle proprie emozioni sul parquet è stata, per assurdo, la sorpresa più grande di questo inizio di FIBA WC 2023. Ciò che rende Nicolò Melli uno dei giocatori più sottovalutati del panorama europeo, e di converso uno di quelli di cui si parla di meno per quanto riguardo ciò che rappresenta dentro e fuori dal campo in quanto atleta professionista, è l’equilibrio tra il prendersi la scena quando nessun altro vorrebbe prendersela e lasciarla ad altri quando sarebbe troppo facile tenere i riflettori accesi su di sé. Vederlo emotivamente disconnesso dalla partita con la Repubblica Dominicana ha mostrato che l’eccessiva frenesia che si è creata dall’interno e attorno l’Italbasket è il veleno più letale per un gruppo che si è sempre alimentato di entusiasmo.
Tempo un paio di giorni e, per fortuna, si è rivisto il Melli di sempre, dominante sotto tutti gli aspetti che si faticano a sottolineare a livello statistico. Si è rivisto il Melli di sempre anche ai microfoni, a partita finita, dove nel corso della carriera è stato ancora più grande di quel che non abbia ottenuto come trofei o riconoscimenti individuali. Intervistato dalla RAI ha tenuto una lezione che dovremmo mandare a memoria tutti, noi donne e uomini dell’informazione e comunicazione sportiva in primis, ma durante la quale facciamo storicamente fatica a prendere appunti:
Con la Repubblica Dominicana ci siamo un po’ disuniti e non era mai successo. Facendo errori, ma sempre di squadra […] Prima eravamo dei disastrati, poi dei fenomeni che avevano vinto tutto. Con l’Angola “Oddio, questi ragazzi non sanno più giocare a basket!”, perdi con la Repubblica Dominicana – che peraltro è un’ottima squadra – “Un disastro, non valiamo niente!”. Bisogna avere un po’ di equilibrio in più. Abbiamo sempre cercato di fare il nostro gioco, non abbiamo assolutamente tirato bene nelle prime due partite, solo con la Repubblica Dominicana ci siamo un po’ disuniti. Ma il gruppo c’è, è unito, e oggi si è visto.
A toni esagerati, veicolati dall’eccitazione del momento sia dallo staff che dalla federazione, la stampa italiana ha risposto pan per focaccia, non contribuendo a sottolineare sì le difficoltà mostrate dagli Azzurri nell’approccio alla FIBA WC 2023 ma assumendo posizioni estreme, assecondando la logica del tutto e subito perorata dal presidente federale in primis tramite dichiarazioni pur condivisibili ma espresse nel momento meno opportuno. Nicolò Melli ha ricordato che mettere i puntini sulle i è doveroso per individuare quali siano effettivamente le responsabilità e i motivi di risultati che il gruppo di Pozzecco in primis si aspettava di ottenere, ma che dubitare di un percorso e un progetto che, piaccia o meno a livello tecnico, affonda le sue radici sin dall’arrivo di Meo Sacchetti nel 2017, per una sconfitta con la Repubblica Dominicana non è ammissibile.
Non lo è perché non lo era dopo la sconfitta con l’Ucraina del Forum nell’estate scorsa, dove si parlava di “batosta” e di una squadra irriconoscibile. L’andamento della gara ricorda paradossalmente quella con la Repubblica Dominicana: inizio sprint, problemi di falli di Melli, rotazioni ridotte all’osso e critiche alla gestione del roster da parte di Pozzecco, in particolare riferiti ai 40′ di panchina a Tessitori nonostante la fisicità ucraina.
Mettere i puntini sulle i e non su altre lettere significa riconoscere che i nostri tre migliori tiratori dall’arco nell’ultimo biennio stanno tirando in questo Mondiale con percentuali mai viste in carriera. Per una squadra così basata sul tiro dalla lunga, lo 0% di Polonara, il 20% di Fontecchio e il 14.3% di Datome sono dati impossibili da mettere in conto sul medio periodo. La maggior parte delle triple tentate sono costruite molto bene, normalmente sarebbero entrate ma nelle Filippine non lo hanno ancora fatto. Punto. Melli e tutti gli Azzurri sono i primi a riconoscere che gli errori a livello tecnico e strategico ci sono stati, ma è qui che ci si deve fermare nell’analisi. L’analisi deve rimanere tale, anche nella sconfitta, e non dovrebbe trasformarsi in un pruriginoso pretesto per sfogare la frustrazione del risultato che non ci soddisfa.