L’avventura cinese dell’Italia si è conclusa ufficialmente nella mattinata odierna, quando la delegazione azzurra si è imbarcata sul volo con destinazione Roma (e Milano). Un rientro anticipato, seppur messo anche in preventivo già prima della partenza, ma con più di un rimpianto per quella partita con la Spagna apparsa alla portata. Ma ormai non c’è tempo di rimediare e bisogna solamente guardare avanti, ad un futuro che si chiamerà Preolimpico, sognando il viaggio a Tokyo 2020.
La crisi del basket italiano e i motivi del flop cinese
L’Italia non sale sul podio di una manifestazione importante dal 2004 e dallo stesso anno non partecipa alle Olimpiadi: sono quindi 15 anni di anonimato per la nostra pallacanestro, un periodo dove tante altre nazionali (europee e non) si sono messe in luce, mentre al nostro gruppo è sempre mancato il passo finale e decisivo. Ma cosa non sta funzionando?
È da un po’ di anni che manca un vero e proprio leader: anche i giocatori più titolati, non sono il principale punto di riferimento dei rispettivi club e, quindi, manca una vera guida nei momenti decisivi. E si è visto in tutti i finali in volata decisivi: dagli Europei 2015 al preolimpico 2016, passando per la recente sfida con gli iberici a Wuhan.
L’assenza di Nicolò Melli è stata pesante, perché era forse l’unico giocatore insostituibile di questo gruppo (e l’avevamo detto già al momento del forfait definitivo), ed ha acuito ancor di più l’assenza di lunghi di livello mondiale, seppur Biligha e Tessitori non abbiano sfigurato. Ma non sono quei giocatori da cui poter andare, nei momenti di difficoltà o di siccità offensiva. L’abbiamo già detto due giorni fa e lo ribadiamo: senza seconde linee di livello, è impossibile fare risultati. E l’Italia, quando uscivano Hackett, Belinelli, Gallinari e Datome ha avuto poco o nulla dal resto del gruppo, escludendo Gentile ed il già citato Biligha. Troppo poco.
Si può poi discutere sulle convocazioni di Sacchetti, sulla decisione di lasciare a casa i migliori giocatori italiani dello scorso campionato, cioè Moraschini, Polonara, Tonut e Spissu. Ma, vista la scarsa esperienza internazionale (o nulla per alcuni) di questi elementi, riteniamo che difficilmente ci sarebbe stato un deciso cambio di passo. Anche se qualcuno noi l’avremmo portato, sfruttando il loro momento positivo.
Uno sguardo al futuro del basket italiano
Come abbiamo scritto un paio di giorni fa, il tempo per questa generazione sta per scadere. Non ha ottenuto i risultati sperati, ma, purtroppo, non è che alle loro spalle ci siano così tanti talenti da far pensare ad una svolta per la nostra pallacanestro. Ci sono giocatori su cui poter sperare: da Nico Mannion a Davide Moretti, passando per Donte DiVincenzo. Ma il numero appare ridotto, se il campionato non porterà in un futuro abbastanza prossimo degli altri giocatori di buon livello internazionale.
La vera svolta della nostra pallacanestro deve però arrivare fuori dal campo. Serve un lavoro congiunto da parte di Federazione, Legabasket e squadre di club per formare e far crescere giocatori italiani, in modo da averli pronti quando devono poi affrontare questi eventi. Non con la legge sul numero obbligatorio (se poi i sei italiani finiscono regolarmente in panchina quando conta), ma credendo davvero in loro. Solo così il basket italiano potrà svoltare e tornare a vedere i fasti di un passato ormai troppo lontano.