NBA: aspettando CP3, Ja e Steph

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Ja Morant, Steph Curry

Tre scenari completamente diversi. Tre prospettive lontane ma accomunate dalla stessa, temporanea, sfortuna. Tre franchigie NBA in apprensione, più o meno giustificata, per le condizioni fisiche delle proprie stelle. Le capolista della Western Conference, mai come quest’anno estremamente spaccata tra una vetta delle classifica assai competitiva e una classe media povera di profondità qualitativa, si avvicinano alla cavalcata playoff con dubbi dal peso e gravità differenti, che pongono un minimo punto di domanda su ciascuna delle loro teste.

QUALI SUNS ALL’ORIZZONTE?

In ordine di classifica e di timori, quelli che dovrebbero angustiarsi di meno sono i Phoenix Suns. Forti di un record di 58-14 e reduci da una striscia di cinque referti rosa consecutivi, gli uomini di Monty Williams  sono orfani dal 17 febbraio di Chris Paul. Il prodotto di Georgetown, in seguito alla frattura del pollice della mano destra, sta attendendo la fine della regular season per tornare a pieno regime quando la palla peserà e scotterà di più. Quando i suoi polpastrelli, la sua leadership e le sue letture saranno fondamentali per consentire alla franchigia dell’Arizona di compiere lo step decisivo. Quantomeno in apparenza, la squadra non ha risentito particolarmente il contraccolpo: dopo l’infortunio e l’espulsione di CP3 contro i Rockets e la comparsata simbolica all’All Star Game (ne avremmo fatto anche a meno, ma in quanto presidente della NBPA non ha potuto esimersi…), Phoenix ha comunque il miglior ruolino dell’Ovest (10-4). La miglior squadra della Lega, in assenza del proprio condottiero, sta dimostrando ulteriormente quanto il roster sia qualitativamente profondo. Al netto dell’impressionante dato delle 44 vittorie su 44 stagionali in occasione di una situazione di vantaggio accumulato a metà partita e all’efficienza nel clutch del play di Winston-Salem, sono proprio i gradini scalati nel processo di maturazione dei simboli del futuro a far dormire sonni tranquilli allo staff di Williams. Le ultime prestazioni di Devin Booker (vedasi i 31 nella vittoria all’overtime contro i Kings), la solidità di un DeAndre Ayton primo violino durante l’assenza per Covid della guardia da Kentucky, la presenza fissa di Mikal Bridges stanno mascherando egregiamente le piccole falle del vascello dell’Arizona. Attenzione: per Paul, Cameron Johnson e Frank Kaminsky non sono mai stati comunicate ufficialmente delle date di rientro. E la stagione di Dario Saric, si sapeva dalla prima palla a due dell’anno, era destinata a non iniziare mai. Piccoli e grandi intoppi che non hanno condizionato Monty Williams e i suoi assistenti. Dalla promozione a head coach in vista della bolla di Orlando, l’ex allenatore di New Orleans (COY in coabitazione con Erik Spoelstra?) ha saputo costantemente adattare i quintetti e le rotazioni in base alle contingenze del momento, sbrogliando sempre il bandolo della matassa. Sia i singoli che i quintetti hanno goduto di una crescita continua sotto tutti i punti di vista. Tecnica, tattica, consapevolezza, agonismo. Guardate il Booker dei 70 punti al TD Garden e il Devin, unico superstite alla maledizione delle Jenner, delle ultime uscite. Osservate il timido Ayton dell’annata da rookie e le letture del centro bahamense, il cui mancato rinnovo contrattuale agita le notti di Sarver e di chi prenderà il suo posto in dirigenza, nella scorsa run playoff. Apprezzate la crescita di Mikal Bridges, scaricato in sede Draft dagli amati 76ers e valorizzato come eccellente difensore dallo staff di Phoenix. I tre sopracitati garantiranno annate radiose ai Soli dell’Arizona. Ma almeno per il 2021/2022, la speranza di ogni appassionato è che il ritorno di Paul illumini di nuovo il panorama dell’NBA. Per l’ultima volta a questi livelli (?).

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