I DOLORI DEL VECCHIO STEPH
La vittoria di Natale in casa dei Suns aveva alzato le sopracciglia anche dei più scettici. Figuriamoci quando rientreranno Klay Thompson e James Wiseman, abbiamo pensato tutti. Bene: se il primo, dopo oltre due anni di assenza dai parquet NBA, sta fisiologicamente faticando a ritrovare il ritmo partita, sul secondo siamo costretti a doverlo ignorare per questa stagione, sperando che il ginocchio non gli precluda un’intera carriera al massimo del livello. La prestazione nel Christmas Day aveva confermato i Golden State Warriors in testa alle classifiche NBA. Da quel momento, però, Steve Kerr ha dovuto forzatamente convivere con la carta d’identità e le cartelle mediche dei primi violini della fantastica orchestra della Baia. Prima è stato il turno di Draymond Green, assente dal 9 gennaio a causa di dolori alla schiena, è rientrato solamente a metà marzo. Tornato l’“Orso Ballerino”, la scivolata di Marcus Smart ha generato, oltre a un netto tonfo casalingo coi Celtics, l’ennesimo acciacco alle caviglie di Stephen Curry. Il figlio di Dell non è nuovo a infortuni riguardanti gli arti inferiori, che nei primi anni di carriera ne avevano fatto addirittura dubitare la permanenza nella Baia e nella Lega. I segnali non sono dei più confortanti: lo staff di GSW ha cercato di buttare acqua sul fuoco, annunciando il ritorno di Steph per l’inizio dei playoff. I rumors più accreditati, tuttavia, parlando di una rivalutazione delle condizioni del #30 per inizio aprile, senza sbilanciarsi su prognosi definitive. Di definitivo c’è un solo fatto: dall’infortunio di Klay in gara 6 coi Raptors, non abbiamo mai potuto godere di fatto del roster degli Warriors al completo. Spes ultima dea, si diceva nell’antica Roma. Una bella rimpatriata tra vecchi amici in vista di metà aprile potrebbe essere la sceneggiatura ideale per un kolossal di successo.
L’assenza delle point guard ha pesi specifici incomparabili nelle economie delle tre squadre. Senza Steph, ogni singolo giocatore in maglia Warriors vede peggiorare le proprie statistiche, al netto dell’aumento di minutaggio e di numeri crudi di Jordan Poole. Senza Ja, Memphis torna a vestire i panni vintage delle versioni Grit ‘n Grind di gasoliana e randolphiana memoria: un approccio blue collar sicuramente più ancorato e fedele allo spirito del Sud degli States, ma meno redditizio in ottica playoff. Senza i picchi e le fiammate del suo leader, è difficile immaginarsi i Grizzlies fare lunga strada da aprile in poi. In termini sia di floor che di ceiling, Phoenix è senza ombra di dubbio la squadra sulla quale inficerebbe meno l’immaginaria assenza a lungo termine della guida carismatica e tecnica. L’ipotetica mancanza di Paul, in parte, ha caratterizzato anche le ultime NBA Finals, dove la spalla di CP3 si è rivelata un fattore decisivo. Allora non sono bastati un Booker oggetto di moltiplicate attenzioni della difesa Bucks e un Ayton stremato dalla marcatura su Giannis a portare il titolo in Arizona. Quest’anno la Storia prenderà un’altra piega? Non siamo indovini o profeti. Siamo semplicemente amanti della pallacanestro. Per non trasformarci in traditi rancorosi, per cortesia, qualcuno ci riconsegni al più presto i nostri idoli NBA. CP3, Ja, Steph. See you soon.