NBA Christmas Day, Golden State Warriors-Houston Rockets: l’analisi

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Fonte: Instagram @nbaonespn

Doveva essere la partita più attesa di questa notte NBA natalizia, ancor più del derby di LA e della sfida tra le regine della Eastern Conference, invece, a causa delle ben note vicissitudini occorse nella Baia, si è arrivati ad un match di tutt’altro tipo. Nonostante ciò, Golden State Warriors-Houston Rockets si è rivelato uno scontro non banale, dal quale possiamo trarre alcune considerazioni sparse.

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Fonte: Instagram Houston Rockets

Steve Kerr ha, fin dall’insorgere dei problemi nel suo roster, lasciato trasparire l’intenzione e la voglia di non smettere di lottare. Lo ammiro, perché è riuscito a trasmettere questo atteggiamento ai suoi giocatori. Vedere una squadre che punta a perderne il più possibile in attesa del ritorno in salute delle proprie stelle (parliamoci chiaro, i Warriors faranno questo nel 2020), riuscendo a mostrare un atteggiamento combattivo, non è roba da poco ed è sicuramente frutto del lavoro di un allenatore vincente. Chiudendo questa prefazione focalizzata su Kerr, per il quale, se non si fosse capito, ho un debole particolare, l’inizio di Golden State è stato veramente significativo. Nella metà campo offensiva, un ispirato D’Angelo Russell è stato un ottimo riferimento per un attacco che ci ha girato come girava quando sul parquet c’erano interpreti di ben altro livello. Dall’altro lato, l’intensità corale orchestrata dal solito Draymond Green ha funzionato bene grazie ad un efficace sistema di raddoppi e recuperi, architettato dall’uomo di cui parlavamo poche righe fa, per tentare di rallentare (fermarlo, al momento, non è un opzione esplorabile) il Barba. Efficace, sì, almeno finchè l’ex OKC non ha infilato 14 (indifendibili) punti in un amen. Non a caso, questo momento è coinciso con la prima fuga della franchigia dell’Arizona, che ha sfruttato un Westbrook non bellissimo da vedere ma pressoché efficiente. Interrompo la mia analisi, per sottolinere come, per giocare bene stanotte, bastava indossare le scarpe di due colori diversi. Ok il trentello di Brown, va bene pure quello di Embiid, ma se perfino Damion Lee (con tutto il rispetto) si spara un primo tempo da 17+11, con ai piedi una scarpa gialla e una fucsia (rigorosamente fluo), vuol dire che c’è lo zampino della magia natalizia. Mettendo da parte questo piccolo accorgimento stilistico, passiamo ad un accorgimento di tipo prettamente tecnico, che riguarda l’attacco degli uomini di D’Antoni. La fase offensiva dei Rockets è estremamente bipolare e dipendente dalle due stelle della squadra. Quando è in campo l’MVP barbuto è abbastanza obbligatorio far passare il maggior numero di possessi dalle sue mani, seppur questo voglia dire avere una manovra decisamente più macchinosa, se hai uno che ne mette 40 ad allacciata di Adidas tendenzialmente ti affidi a lui il più spesso possibile. Nei minuti in cui il prodotto di Arizona State è a riposo (D’Antoni sta gestendo questo aspetto in maniera piuttosto oculata), la transizione houstonia è certamente più spumeggiante, poiché passa tutto dalle mani di Russ, che, imprimendo il suo ritmo forsennato, impone dei possessi molto più rapidi, con tiri nei primi secondi dell’azione, possibilmente dello stesso numero 0. Tornando al campo, il fatto che io sia stupito del +5 di GSW a 2 minuti (circa) dalla fine del terzo quarto, mi fa capire come, in questa lega, basti veramente un istante per stravolgere le sorti di una squadra. Se una squadra che ha Robinson III (sempre con il massimo rispetto) in quintetto, è avanti, possibilmente sono più i demeriti degli avversari che i meriti propri. Effettivamente, la difesa di quelli con la scritta “H-TOWN” sulla canotta è visibilmente carente, con un Harden che volentieri si prende un giro di riposo e gli altri che non ruotano in ogni occasione come dovrebbero, in assenza di una vera guida difensiva. In più, come se non bastasse, quando il 13 non la butta dentro tutti faticano ad entrare in ritmo, tuttavia, se in gran parte dei casi il vice MVP paga la cauzione per tutti, il problema non si pone. Poi, volendo aggiungerci un altro pizzico di humor, che la partita la portassero a casa i guerrieri l’ho capito quando Bowman (non proprio Curry) ha mandato a bersaglio la preghiera finale sulla sirena del terzo quarto, ma questo non so quanto sia rilevante. Nell’ultimo periodo, i vice campioni in carica si dimenticano della loro classifica e ci fanno sognare tutti, illudendoci che questa partita conti qualcosa. Sembra un finale già scritto, Green commuovente, Robinson, preso di mira qualche riga sopra, con due bombe clamorose e il resto a dare tutti il proprio contributo. Dall’altra parte, emergono problemi ricorrenti, quali un’estrema dipendenza da Harden e un’inconsistenza tangibile per il supporting cast, senza contare un Westbrook che spara tanto senza ferire nessuno. Conterà relativamente, però, mentre tutta la lega si preoccupa di arrestare la marcia di una guardia da 39 di media, il fanalino di coda del campionato lascia James Harden, su cui molti contavano per il record di punti natalizi, a 24 punti (terza volta sotto i 25 in stagione) e qui si torna al coach di cui sopra. In una giornata speciale, una partita speciale, Golden State Warriors-Houston Rockets termina 116-104, è Natale al Chase Center.

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