Nella NBA attuale avere una pausa di 4-5 giorni è un autentico paradiso per gli allenatori che hanno qualcosa da limare non solo sul proprio playbook, ma anche e soprattutto sulla mentalità della propria squadra. Coach Stevens e i Boston Celtics sono in una pausa di riflessione, ancora incerti su come approcciarsi al futuro. Passare da rivelazione a delusione dell’anno è cosa breve, il punto focale è che però l’anno scorso si è arrivati in finale di conference senza i migliori giocatori, che erano ampiamente ai box e fuori dal gioco. Quest’anno, con i rientri di Irving e, Hayward a pieno regime, il record attuale dice 13-10, ma sarebbe stato molto più vicino al 50% se nelle ultime apparizioni non fossero arrivate vittorie contro le derelitte Clevaland e Atlanta. Che poi, a ben vedere con un record del genere nella modesta Est si va ai playoff con tranquillità, magari senza fattore campo, ma se Boston avesse una classifica parametrata sui valori dell’Ovest, non si potrebbe non parlare di lottery (vedasi ad esempio, gli affair San Antonio, Minnesota e Utah, ad oggi fuori dalla post season e davanti solo ai Phoenix Suns).
IL REBUS DELLA DIFESA…
Tanto decantata per approccio ed intensità, il vero tallone d’Achille della squadra di coach Brad Stevens sembra essere la difesa, che ha perso di coesione e voglia di fare. In attacco, il rientro del folletto Kyrie Irving ha di sicuro permesso un aumento dei possessi, del ritmo e dei punti che vanno a referto. Indubbiamente però, nel cambio con giocatori di impatto come Rozier, Brown, di quelli cioè che hanno fame, si è perso qualcosa. Il calo notevole in difesa da parte di Horford, che non è certo la stella assoluta dei tempi di Atlanta, incide e non poco sull’economia del gioco. Tatum spesso rimane ultimo baluardo a fare da frangiflutti, ma gli oltre 100 punti di media subiti ad ogni allacciata di scarpe sono un qualcosa di inspiegabile proprio alla luce di quello che è il modus operandi della squadra biancoverde.
Al netto di un calo percentuale degli effettivi, quello che sembra incidere sul lungo periodo è la disparità tra il primo quintetto e gli uomini che fanno il loro ingresso in partita dalla panchina. La scelta di inserire Gordon Hayward nel secondo quintetto, che si è rivelata importante nella vittoria contro Minnesota anche senza necessariamente considerare i 30 punti a referto, è solo un palliativo per un roster che appare corto e privo di ragazzi già pronti ad entrare nel sistema. Fatta eccezione per Baynes, che è comunque uno di quelli che la legna la porta a casa, Theis è ancora acerbo, Yabusele ed Ojeleye, che hanno minuti veri, non sono incisivi e la scelta di Robert Williams III non si è rivelata produttiva anche alla luce dei problemi fisici che ne minano la crescita. Se in alcune circostanze è stato chiesto un lavoro di adattamento a Brad Wanamaker, è chiaro che davvero in casa Celtics la coperta è corta. Nel lungo periodo si paga lo scotto della stanchezza, specie dal punto di vista mentale, ancor di più se sei sotto in classifica e devi risalire la china.
…E UNA SQUADRA DI SOLITUDINE
Avevamo apprezzato – ed il riferimento è sempre agli scorsi playoff – il gran prodotto di gioco, in una ricerca sempre del tiro giusto, di quello ad alta percentuale, indipendentemente se poi alla fine fossero Brown, Tatum o Rozier a fare la differenza. La Boston di quest’anno sembra vivere delle sue individualità, prima tra tutte quella di Irving, che tiene tanto la palla nelle mani, forza tanto – anche se spesso è stato decisivo in positivo – e paradossalmente fa calare il killer istinct dei compagni. Uno di quello che ne ha risentito, sia in termini di leadership che di incisività sul gioco è Tatum, i cui numeri sono in calo notevole rispetto al passato. A ciò si aggiunga che l’avere in squadra un pacchetto di combo e guardie molto allargato tra cui scegliere, adesso a maggior ragione col rientro di Smart, impone a coach Stevens una rotazione particolare, che non riesce a tenere bene le marcature in difesa. Far convivere poi tanti solisti che ti possono risolvere la sfida – e soprattutto vogliono avere la palla nelle mani quando conta – è un problema, ed alla fine la palla finisce sempre nelle mani di Uncle Drew.
Il più in difficoltà da questo stile di gioco è Gordon Hayward, giocatore di equilibri, di ritmo, ma che soprattutto ha anche bisogno che la squadra lo aiuti a trovare il tiro migliore. Un giocatore che ha sempre macinato gioco, numeri, che lavora per la squadra, viene a trovarsi in un limbo in cui è più necessario alla squadra in fase difensiva che non in quella offensiva, con percentuali nettamente al ribasso. Un dato che deve far riflettere e che emerge nudo e crudo dalla lettura statistica, va ritrovato in una brutta fase di rimbalzo e assistenza ai compagni. Morris e Horford non sono certo dei rim protector ma se in fase offensiva il non giocare tanto in post basso è fisiologico – e neanche una cattiva idea dato il buon ritmo dell’attacco – qualche giro di vite andrebbe fatto nella fasi di gioco rotto, dove non basta l’atletismo degli esterni e servono davvero kili e centimetri per sgomitare.
PROSPETTIVE
Due ordini di motivi vanno analizzati puntualmente: possibilità di crescita e risultati a breve termine. Guardando al concetto attuale, Boston è tra le squadre futuribili della lega, giacchè il talento vero, è concentrato in quei giocatori giovani che hanno già saputo tirare la carretta quando serviva e che, ovviamente, adesso trovandosi a coesistere con delle big star da grande peso nel payroll, vogliono comunque far sentire la propria voce. Ecco perchè anche qualche sconfitta è fisiologica di un percorso di adattamento, con coach Stevens che continua, giustamente, a pretendere tanto dai suoi, anche uno sforzo maggiore, ma il tutto con una funzione teleologica di formare, già all’interno della franchigia biancoverde, un potenziale nucleo di big three con cui puntare, senza remore, al titolo.
Se il progetto Boston Celtics, seppur con andatura claudicante, prosegue, il risultato di fine stagione, anche solo della regular season, non può certo attestarsi su uno scialbo quinto posto nella derelitta Eastern Conference. Il lavoro che deve essere fatto è quello della ricerca di una nuova coesione e coscienza di gruppo, che prescinda dai singoli e sappia tornare a essere quella macchina da guerra perfetta dove ogni movimento è funzionale a quello del compagno. Una filosofia che è sempre stata nel sangue biancoverde e che sembrava essere stata ritrovata, finalmente e senza ricorso alle big acquisition del mercato, con il manipolo dei. Serve continuità di rendimento e soprattutto il ritrovare la propria identità nelle singole fasi delle pieghe del gioco, specie in difesa, ed il poter contare su una conference in cui, mal che vada, si va ai playoff con record negativo, è sicuramente la giusta base di partenza per lavorare sereni, ma non per cercare un facile alibi.