“Way to close out”, ovvero il modo in cui chiudere la serie. Con queste quattro parole accompagnate da una foto postata su Instagram Kevin Durant, il grande assente di gara 6 tra Warriors e Rockets, commenta entusiasta la tripla di Steph Curry che pianta i chiodi sulla bara di Houston e spedisce Golden State a giocarsi le finali di conference per la quinta volta consecutiva contro i Portland Trailblazers, reduci da una intensissima gara-7 vinta in trasferta sul campo dei Denver Nuggets.
Costretto a uscire per infortunio a due minuti dalla fine del terzo quarto di gara-5 (poi vinta da Golden State) senza più rientrare, è di qualche ora prima della palla a due la notizia che KD è “out for the series” e che verrà rivalutato la settimana successiva dallo staff medico.
SECOND UNIT
Tutto, dunque, sembra apparecchiato per il pareggio di Houston al Toyota Center, per trasferire per l’ultima volta la sfida sul parquet della Oracle Arena, dove CP3 e soci hanno già vinto una volta nei playoff. Fare i conti senza l’oste, però, non è quasi mai una buona idea e, dopo le scaramucce pre-gara tra Chris Paul e Steph Curry (più a senso unico, a dire la verità) Steve Kerr decide di ampliare le rotazioni fatte fino a quel momento, gettando nella mischia e lasciando sul terreno di gioco anche per minuti rilevanti giocatori come Cook, Jerebko e Bell, che fino a quel momento avevano collezionato non più di 8 minuti di media nella serie. Nonostante il poco impiego, la “nuova” second unit di Golden State risponde presente, dando solidità soprattutto nei momenti in cui l’attacco degli Warriors si ritrova aggrappato a Klay Thompson, nell’attesa che l’altro Splash Brother si iscriva alla partita dopo un primo tempo da 0 punti e 0/5 dal campo.
FUORI DALLO SLUMP
Per fortuna di Golden State lo “slump” di Steph Curry termina negli spogliatoi del Toyota Center a cavallo tra primo e secondo tempo, con il figlio di Dell che già nel terzo quarto dimostra di essere diverso da quello dei primi due periodi, esplodendo poi negli ultimi e decisivi minuti della gara con una prestazione offensiva di livello assoluto (inclusa la già citata tripla della staffa che ha fatto saltare di gioia KD) che, anche grazie alla freddezza avuta in lunetta nel momento del fallo sistematico, fa segnare 33 punti alla chiusura del referto.
Entrando nel dettaglio tattico, poi, i due fattori che ha fatto la differenza in gara-6 sono stati l’affidabilità che ha garantito Iguodala nel tiro da fuori quando battezzato e il pick ‘n roll che ha visto Draymond Green (apparso in forma smagliante in tutta la serie) coinvolto da bloccante, con il 23 che ha sempre preso la decisione giusta trovando il terzo uomo (spesso Thompson) per la tripla aperta e non contestabile dagli avversari.
SUPERFAVORITI?
Sarebbe superfluo ribadire quanto Golden State sia favorita per la vittoria finale, ma la sensazione è che con l’eliminazione di Houston se ne sia andata (con tutto il rispetto per Portland) l’unica vera squadra della Western Conference in grado di poter dare fastidio ai bi-campioni in carica. Lillard e compagni, reduci da una serie fisicamente logorante, arrivata a gara-7 (giocata in altura, è bene ricordarlo) e che ha visto tra le gare una partita terminata al quarto overtime, non sembrano una compagine attrezzata per potere infastidire Golden State che, con tutta probabilità, recupererà anche Durant (forse da gara tre?)presentandosi così al gran completo per il rush finale della post-season. Le chiavi della serie vanno ricercate nella tenuta difensiva e a rimbalzo di Golden State, chiamata a limitare Lillard e McCollum in attacco e Kanter sotto le plance e sul contributo che le panchine riusciranno a dare nella serie, con Kerr che, come già detto, sembra avere trovato un’ottima risorsa in una second unit che, probabilmente, avrà più spazio di quello avuto contro i Rockets.