Mai come quest’anno il primo terzo di campionato rispecchia le previsioni della vigilia e crea un mini solco tra le quattro squadre favorite e le altre. Tale spaccatura, ovviamente, più che per distanza punti si nota nelle modalità di conquistare le vittorie, nel sistema di gioco e nei quality player a roster. Dietro Philadelphia, ad oggi quarta forza NBA, pienamente in the hunt e ottima nel performare un basket fisico e creativo allo stesso tempo, si presenta un nuvolo di team che a nostro avviso hanno ottime peculiarità ma sono lontani dal poter (almeno finora) essere considerati contender. Tra Sixers, Clippers, Bucks e Lakers, in ordine crescente le migliori fino ad oggi, sono però proprio i 76ers quelli che convincono meno e lasciano maggiori perplessità sull’arrivare fino in fondo, se la postseason iniziasse domani.
Cosa va
Lo starting lineup degli uomini di Brett Brown mette letteralmente paura in un’eventuale sfida da win or go home! C’è tutto nei cinque titolari: velocità in ripartenza, nello scarico e a recuperare palloni (Simmons), crearsi un tiro dal nulla (Richardson e Harris), coprire l’area non disdegnando uscite fuori dall’arco e giochi in pick and roll (Embiid e Horford). In assenza dei titolari sta trovando spazio il veterano Mike Scott, dignitoso di recente ad entrare in quintetto base, con numerosi highlights dalla distanza. Inoltre la stazza del backcourt garantisce una protezione di campo sia rapida che fisica, creando una sorta di blocco esterno che costringe, nel migliore dei casi, gli avversari a penetrare per schivare l’asfissiante pressing e sbattere sul muro presente nel pitturato.
Phila è infatti la squadra che concede il minor numero di tentativi da fuori dall’arco, particolarità fondamentale dei moderni canoni NBA, per merito della quale i primi posti per efficienza e punti incassati è prassi. La stessa panchina si rivela utile allo scopo, grazie fra i tanti al rookie Thybulle, già conosciuto nell’epoca Pac-12 come intenso soffocatore di portatori di palla e a nuovi intimidator che accrescono l’aggressività vicino al ferro, tipo Norvel Pelle. La mentalità di chiunque entra sul parquet è feroce ed irruente, quasi ai limiti, e la bolgia del Wells Fargo Center, fortino casalingo, aiuta e non poco: l’imbattibilità fra le mura amiche fa capire l’importanza di un alto posizionamento a fine torneo!
Cosa non va
Se i Sixers sono maestri nel coprire il tiro dalla lunga non si può dire lo stesso in attacco, dove a parte Richardson, unico con statistiche dignitose per tentativi e percentuali, non c’è un vero specialista sui generis, portandoci perciò a dubitare su una reale consistenza da grande palcoscenico per i ragazzi di Brown, quartultimi di categoria e senza l’arma principale che il basket odierno pretende come mantra. Non può non entrare in questo discorso Ben Simmons, i cui canestri da tre vengono celebrati sui social a mo’ di festa ed evento straordinario e i cui miglioramenti, pure su mid range e liberi, si sono tutt’altro che verificati! Anche la panchina, decantata poc’anzi per efficacia difensiva e grinta, non ci convince in una serie decisiva, dato che Korkmaz, Ennis III, Burke e gli altri portano alla causa la pochezza di 25 punti per match, mantenendo così irrisolto un problema basilare, data la frequente assenza in quintetto di Embiid e del suo alter ego Horford, acquistato proprio per tutelare il fisico del camerunense, ma pure di Simmons (spalla) e JR!
Ben e Joel inoltre ci sembrano oggi soli per leadership e l’assenza di Butler nelle situazioni che contano potrebbe gravemente farsi sentire! Se ricevere il massimo salariale era il pretesto per non emigrare in Florida forse sarebbe stato meglio accontentarlo, vista la stagione a Miami da MVP per l’ex Wolves e i risaputi problemi clutch di Harris e Richardson, favolosi play creator ma mai leoni da corrida; lo stesso Scott non ha la storia e l’appeal necessari per entrare dalla panca e bombardare la retina nei close game.
Cosa serve per vincere
Fondamentale sarà per prima cosa rimanere sani e integri, attuando così una rotazione ragionata che cauteli il proprio centro e uomo franchigia, ma anche Horford, permettendo loro di giungere al massimo della forma nel primo turno playoff. In secondo luogo affidare sempre più le redini del gioco a Simmons, nonostante la giovane età e le pecche da shooter è un profilo straordinario per mentalità e rendimento da quintetto difensivo stagionale, ma anche presente e fulcro offensivo in passaggi e transizioni, grazie all’enorme e inconsueta classe bimane per appoggiare palla a canestro.
Tentare poi di restare più attaccati possibile al “treno” Bucks, mantenendo così un basso seeding per giocare più match in casa, dove difetti e imperfezioni sembrano venire meno ed infine cercare aiuto dalla deadline, certi che l’attuale momento storico nella città dell’amore fraterno potrebbe non tornare più. È difatti questo il punto più alto dell’epoca recente per i 76ers, abitanti di una Conference equilibrata e competitiva ma forse meno feroce dello scorso torneo: bisogna perciò tentare il tutto per tutto ora! Guardando le Big 3 di inizio articolo ma pure Rockets, Celtics e Mavericks, quel che traspare è dunque una superiore incisività dei panchinari in alcuni casi e di tiratori negli altri. Verificare quindi la disponibilità di gente come Jordan Clarkson, Bogdan Bogdanovic o il figliol prodigo JJ Redick per esempio, specialisti nello spaccare partite, darebbe a Philadelphia il tassello mancante per agguantare il top e puntare all’anello!