Siamo a quasi due anni dal Draft NBA 2019, quello dominato da Zion Williamson con il duo Ja Morant-RJ Barrett a completare il podio. Ai tempi le uniche 3 certezze di quella Draft Class. Dietro di loro un gruppo di prospetti senza valori ben definiti, che spesso abbiamo definito un banco di prova ideale per i migliori scouting staff della lega. Sì, la notte del Draft è fondamentale per i destini di tante franchigie. Soprattutto quelle che, per scelta o perché obbligate dalle circostanze, non recitano un ruolo importante in Free Agency.
Le parole che utilizzammo due anni fa risultano sempre attuali:
Il draft (inteso non solo come le 60 scelte, ma tutta la draft class) è si una scienza inesatta, ma è anche un territorio dove le franchigie possono acquisire un vantaggio sulle avversarie, più o meno grande che sia. Tramite trade ma anche tramite il lavoro degli scout. Un piccolo passo in avanti può sembrare poco se rapportato alle risorse che i team (non tutti) spendono nello scouting, ma non è così. I 76ers sono arrivati al punto in cui si trovano oggi grazie alla ragnatela di scambi che ha dato via al famoso Process, proprio facendo un passo alla volta, e nonostante gli inevitabili incidenti di percorso
Fino a ora sono sedici gli atleti in doppia cifra, guidati ovviamente dal trio di cui sopra.
Molti di loro, come prevedibile, non hanno convinto da rookies, ma per iniziare a sbocciare hanno avuto bisogno di un anno di esperienza. E non sono di certo gli unici da tenere d’occhio, basti pensare ai vari Talen Horton-Tucker, Nicolas Claxton, Chuma Okeke, Daniel Gafford, Matisse Thybulle….
DARIUS GARLAND
Oggi Darius Garland, playmaker che aveva al suo attivo una manciata di partite a Vanderbilt prima della notte del Draft, sembra lontano parente del giocatore insicuro visto lo scorso anno. Nessuno parla più di ennesimo ‘bust’ dei Cavs:
Il progetto della franchigia dell’Ohio è di ripetere con Garland e il suo ‘partner in crime’ Collin Sexton i recenti fasti (specialmente Raptors, ma anche Trail Blazers) la costruzione di backcourt poveri di centimetri ma rapidissimi ed in grado di battere chiunque dal palleggio (N.10 e 11 NBA in drives per game).
Keldon, KPJ e Jordan Poole
Curiosamente tra i 16 della tabella troviamo anche gli ultimi 3 scelti al primo giro, Keldon Johnson, Kevin Porter Jr e Jordan Poole.
L’ex Kentucky ha convinto Popovich con la sua incredibile determinazione.
“Non si ferma mai, la sua aggressività è al 100% in ogni secondo speso in campo”:
Impressionante recupero difensivo dopo canestro segnato di Keldon Johnson. Capisco perchè Pop gli concede più spazio di quanto ne darebbe di solito a un secondo anno…https://t.co/eTvqy2WkBL
— dario skerletic (@hoop_talent) April 23, 2021
Nonostante la giovane età Johnson per certi versi sembra già un veterano. Spreca raramente palla, è devastante quando può attaccare i closeout e finire come un treno al ferro. Ottimo sotto i tabelloni, come detto da Pop è un’atleta che non lesina mai le sue energie. Deve lavorare su tiro da fuori e in-between game, ma già nella sua versione attuale è un ottimo ‘pezzo’ del progetto Spurs.
Kevin Porter Jr era stato individuato, a ragione, come principale ‘boom or bust’ della Draft Class. Tralasciando l’episodio che ha convinto i Cavs a liberarsene (contenti loro…), l’ex USC è finito praticamente gratis ai Rockets. In Texas hanno abbandonato qualsiasi ambizione per quest’anno, l’obiettivo principale del Front Office è capire su chi puntare per il nuovo ciclo. Ambiente quindi ideale per Porter Jr, che, dopo aver dominato nella bolla di G League, è tornato a mostrare di che pasta è fatto al piano di sopra.
Sulla carta non manca nulla tra classe, imprevedibilità, ball-handling e visione di gioco. Promette bene l’intesa con un lungo mobile e attivo come Christian Wood, altro pilastro della nuova era dei Rockets. Chiaramente non è tutto perfetto, tra pause ed errori, discontinuità al tiro e nella metà campo meno nobile. Rimane però una scommessa affascinante, di quelle che tutti i team nella situazione dei Rockets dovrebbero tentare.
La ‘bolla’ G League è servita tantissimo anche a Jordan Poole, gemello di Nico Mannion alla guida dei Santa Cruz Warriors. L’ex Michigan iniziò la sua carriera NBA in una maniera disastrosa, con il 29% dal campo ed il 26% da tre nelle 48 partite disputate prima della pausa per l’ASG. Secondo coach Kerr ‘Un inizio carriera del genere avrebbe affondato molte persone, ma lui ne sembrava ispirato…”.
Il Poole ‘Post G League’ segna 14 punti con 2.6 assist per allacciata di scarpe, tirando con il 42% dal campo, il 35% da tre e l’86% dalla lunetta. Punti fondamentali per i Warriors, sempre a caccia di realizzatori per non dipendere in toto dal sempre clamoroso Steph Curry.
Proprio Steph di recente ha speso parole importanti per il suo ventunenne compagno di squadra.“Ha quella fiducia irrazionale che è necessaria per superare alcuni degli alti e bassi (comuni ai tiratori). Mi piacerebbe mostrargli qualche partita del mio secondo anno, gli alti e bassi che ho attraversato, cercando di trovare il giusto ritmo, di trovare i miei tiri. E’ importante avere fiducia nella propria identità di giocatore. (Jordan) Continuerà ad aiutarci e a migliorare”.