Come ampiamente prevedibile, i Golden State Warriors si sono laureati campioni NBA per la seconda volta consecutiva, la terza in quattro stagioni e la sesta nella loro storia. Il 4-0 con cui si sono sbarazzati dei Cavs non lascia repliche e, a parte una gara-1 che resterà negli annali delle Finals, il resto della serie si è svolto senza grossi picchi di interesse. Non significa che i Cavs non abbiano saputo mettere in difficoltà gli avversari, ma solo che Golden State si sia rivelata per quel che era: troppo più forte di Cleveland.
PICK AND ROLL, INIZIO E FINE
In questa serie i giochi a due hanno avuto grande importanza, soprattutto da parte dei Warriors. Ci si chiedeva come Cleveland si sarebbe attrezzata per difendere il pick and roll di Golden State, tra le migliori squadre in questa situazione, sia in stagione regolare che in post season (con 0.96 e 0.91 punti per possesso segnati dal portatore di palla, rispettivamente primo e terzo miglior dato di Lega).
Nei primi due episodi della serie, Cleveland ha scelto di cambiare sistematicamente. Questo vuol dire che su Curry è frequentemente finito Kevin Love. I due si sono affrontati mediamente per nove possessi a partita, nei quali Curry ha segnato complessivamente quasi sei punti.
In generale, Love non ha difeso male su Steph. L’ex giocatore di Minnesota è un cattivo difensore per posizionamento o letture, ma sui cambi non è sempre da buttare.
Qui, ad esempio, Curry lo batte, ma Love ha la reattività per tornare sull’uomo e stopparlo.
In quest’altro caso, gli rimane davanti quel tanto che basta per contestargli la conclusione senza fallo.
Più complicata è stata la gestione del tiro da tre in situazioni di pick and roll, con il lungo – spesso proprio Love – che non è uscito adeguatamente o non coi tempi giusti per fermare il tiro di Steph.
Qui, il numero 0 dei Cavs è troppo passivo e “basso”. Deve sapere che Curry è capacissimo di tirare senza problemi da quella distanza; contro di lui non bisogna accontentarsi e pensare alla distanza dal canestro, bisogna letteralmente impedirgli che si alzi e si prenda il tiro (e su questo ci arriveremo tra poco). Quello che davvero ha fatto saltare il banco dopo le prime due gare, però, è stata la capacità di Curry di passare la palla dopo aver accennato una penetrazione a canestro, riposizionarsi oltre la linea da tre e tirare, così da impedire l’aiuto. In gara-2 è successo un paio di volte:
Nei successivi episodi della serie, Tyronn Lue ha cercato di ovviare a questo problema aggredendo Curry oltre la linea del tiro da tre cambiando marcatore per evitare che potesse rimanere libero un solo secondo.
In questo caso, Hood è bravissimo a rimanere con lui dopo aver circumnavigato l’area e, anche con l’aiuto di Korver, rimanere attaccato a Curry costringendolo ad un improbabile tiro ad una mano.
In gara-3, poi, abbiamo visto i Cavs intrappolare il numero 30 avversario direttamente dal pick and roll, per costringerlo a passare la palla o comunque a togliergli anche il minimo spazio per il tiro: esattamente quello che facevano contro i Warriors pre-Durant. Ne ha fatto seguito una partita da 1-10 dalla lunga distanza (che probabilmente gli ha pregiudicato la conquista del premio di MVP).
Nel secondo tempo di quella gara, però, Cleveland ha evidenziato tutte le mancanze difensive emerse nel corso della stagione e solo parzialmente mascherate nei playoff. Se vuoi raddoppiare sui giochi a due, devi però accertarti che tutti i compagni siano in sintonia e ruotino con disciplina, cosa che i Cavs non hanno fatto. Ne sono scaturiti diversi canestri davvero facili che a livello di finali non si dovrebbero vedere.
Split the pick di Curry che si apre oltre la linea. Hood è in ritardo ma recupera la posizione (anche perché, a fine partita, Curry non ha necessità di affrettare i tempi). JR Smith, che ha giocato una serie imbarazzante anche in difesa, aiuta inspiegabilmente quando ormai Hood è già davanti all’avversario. Green taglia e conclude indisturbato a canestro (Love in aiuto non può nulla).
Qui Durant conduce la transizione. Green esce dall’area e poi taglia di nuovo dentro per una schiacciata indisturbata. Il suo marcatore era Tristan Thompson che, non si capisce, o raddoppia Durant senza un motivo particolare, oppure fa quello che si definisce overpursuing. in parole povere, abbocca in maniera troppo convinta al movimento di Green, senza tenere in conto la sua mossa successiva, il taglio in area. Se questo è il caso, non si comprende la fretta di chiudere su un giocatore che ha tirato nelle Finals con il 15% i tiri da tre definiti wide open da NBA.com.
È bastato davvero poco ai Warriors per scardinare la già fragile difesa dei Cavs.
LOSING EFFORT
Gara-1 verrà ricordata sì per l’errore madornale di JR Smith (e di Lue, non dimentichiamo), ma soprattutto per quello che può essere considerato il più grande losing effort di sempre in NBA, il 51-8-8 con cui LeBron James stava trascinando i Cavs ad una insperata vittoria in trasferta per aprire la serie. Quanto detto per i Warriors vale come e più per i Cavs. Anche loro hanno usato sistematicamente il pick and roll per mettere LeBron nelle migliori condizioni, per sé e i compagni. Finchè il resto dei Cavs gli ha dato una mano, almeno in una delle due fasi, James ha fatto abbastanza per permettere ai suoi di rimanere a contatto, o anche di condurre la partita, come in gara-1.
Questa situazione è esemplificativa. Korver sfrutta il blocco lontano dalla palla portatogli da Nance, con Green che decide di lasciare l’ex Lakers per impedire il tiro a Korver. Così facendo, Nance taglia a canestro, costringendo Jordan Bell – in marcatura su LeBron – a seguirlo. Il pallone però torna proprio al prescelto, che sfrutta il cattivo posizionamento di Bell per batterlo dal palleggio e segnare col sottomano.
Bisogna dare però merito ai lunghi dei Warriors che, quando sono stati chiamati in causa, hanno portato in dote una buonissima difesa su LeBron dopo il cambio sui blocchi, in particolare Bell e McGee (che ha trovato abbastanza spazio dopo una prima gara in cui gli è stato preferito Looney).
Sicuramente, l’infortunio alla mano auto-inflitto, di cui si è saputo però solo a cosa fatte, ha limitato il numero 23, che negli ultimi tre episodi della serie ha attaccato molto il canestro (47 tiri complessivi tentati nel pitturato), limitando molto il jumper (solo 14 tentativi tra mid-range e triple, di cui solo 4 andati a bersaglio).
Dispiace che un giocatore della sua esperienza si sia rovinato queste finali con un errore evitabile come questo, dettato dalla rabbia del momento. Almeno abbiamo avuto una dimostrazione del fatto che James è umano.
E GLI ALTRI?
Rimanendo sui Cavs, Love ha giocato delle buone finali, risultando sicuramente il più continuo nel rendimento. Non ha tirato in maniera eccelsa da 3, solo con il 32%, ma si è reso comunque utile in altre situazioni.
L’ex TWolves è forse sottovalutato quando si tratta di mettere palla per terra per attaccare i closeout: qui non ci pensa due volte a far saltare Green e a concludere a canestro resistendo al contatto.
Per il resto, dagli altri Cavs poco o nulla. Hill ha avuto qualche buon momento in difesa e con le triple, ma nulla di che. JR ha giocato la serie che ha giocato, deleterio sia in attacco che in difesa. Tristan Thompson ha dato una buona mano a rimbalzo, se non altro, mentre dalla panchina poco o nulla. Nance senza infamia e senza lode, qualche buona azione come rollante nei giochi a due, dove si trova a proprio agio. L’altro ex Lakers, Clarkson, si è rivelato totalmente inadeguato per il livello. Korver è stato contenuto alla grande, mentre Hood ha avuto un buon impatto, soprattutto in gara-3. Il tiro dalla lunga non è entrato, e allora ha deciso di essere più aggressivo attaccando il canestro (oltre a qualche buona situazione difensiva).
Per quanto riguarda i Warriors, meritato il titolo di MVP vinto per il secondo anno consecutivo da Kevin Durant. L’ex Warriors si è subito lasciato alle spalle una gara-1 con tanti errori al tiro e la sensazione, già avuta nelle serie contro i Rockets, che KD fosse avulso dal contesto di squadra di Golden State. Il momento più alto delle sue Finals è stato sicuramente il tiro con cui ha definitivamente messo al tappeto i Cavs, proprio come fatto nella gara-3 dello scorso anno. Il premio di MVP era una lotteria tra lui e Curry, con il figlio di Dell è stato forse penalizzato dalla pessima gara-3.
E adesso, una brevissima sosta prima del draft e di quella che a tutti gli effetti si preannuncia un’estate rovente sul fronte free agency. Vedremo se LeBron rimarrà ai Cavs o sceglierà un’altra strada per provare a fermare una delle squadre più forti di sempre.