Toronto ce l’ha fatta. Combattendo contro i propri fantasmi delle delusioni passate e contro una squadra leggendaria che, nonostante le defezioni, ha lottato fino all’ultimo, Toronto è campione NBA.
È stata una serie giocata ad altissimo livello da entrambe le squadre, che si sono meritate di arrivare all’atto finale dei playoff, onorandolo al meglio.
Vediamo alcuni degli elementi che hanno portato i Raptors a prevalere.
PROFONDITÁ
Limitarsi a parlare di Kawhi Leonard per descrivere il successo dei Raptors è limitante, ma bisogna sicuramente partire da qui.
L’ex Spurs ha giocato una serie eccellente, ma probante, essendo stato tenuto a bada in molte circostanze dalla difesa di Golden State (per quanto si possa limitare un giocatore del genere). Iguodala ha giocato una serie fantastica, marcandolo per gran parte della stessa, in 207 possessi: contro di lui, Leonard ha tirato solo con il 37%.
La vera forza dei Raptors è aver allestito un roster molto profondo, grazie a quella panchina che nelle ultime due stagioni è stata una delle migliori in NBA e ad un supporting cast di primo livello.
Kyle Lowry è stato spesso vituperato (anche a ragion veduta) negli ultimi anni, colpevole – insieme a DeRozan – di essersi squagliato nel momento clou della stagione dopo una regular season tra i migliori del ruolo.
I suoi playoff non sono stati fenomenali, soprattutto nei primi due round, ma già dalle finali di Conference l’ex UConn ha messo in mostra una maturità e una capacità decisionale che non eravamo abituati a vedere associata a lui in tempo di playoff.
Un esempio su tutti è il primo quarto di gara 6, iniziato alla grande con 11 punti nei primi 4 minuti scarsi. Anche dopo l’esplosione iniziale, anziché sparare senza ritegno forte delle percentuali, Lowry ha cercato di fare la cosa giusta, mettendo in ritmo i compagni per tiri migliori.
Numeri alla mano, il quintetto più usato dai Raptors non è stato quello con Danny Green in campo, con cui la squadra di Nurse inizia le partite, bensì quello con Fred VanVleet al posto dell’ex Spurs (per un totale di 69 minuti).
VanVleet è l’ennesimo carneade valorizzato dal coaching staff dei Raptors. Undrafted nel 2016, l’ex Witchita State è rimasto sulle tracce di Curry per tutta la serie – per un totale di 158 possessi – costringendolo a tirare col 39% quando marcato da lui.
Il sosia di Drake è un altro Raptor che ha cambiato marcia a partire da gara4 contro i Bucks. Prima di allora, era andato in doppia cifra solo nella prima partita contro i Magic senza segnare più di un tiro da tre in ogni singola partita. Anche in gara 6 contro Golden State, VanVleet è stato decisivo nel quarto periodo, quando un paio di triple hanno riportato i Raptors prima al pareggio e poi avanti nel punteggio.
Altro protagonista non atteso è stato Serge Ibaka, “declassato” in panchina complice l’esplosione di Siakam e il calo dello stesso Ibaka, che soprattutto nella scorsa stagione aveva fatto vedere di aver perso smalto rispetto agli anni di OKC.
Invece, il nazionale spagnolo ha avuto un eccellente impatto sulla serie, in termini di protezione del ferro e di produzione offensiva, soprattutto in situazioni di short roll.
TWIN TOWERS
Detto di Ibaka, che ha avuto un ruolo cruciale dalla panchina, il duo Siakam-Gasol è stato decisivo in entrambe le metà campo. Siakam ha difeso per gran parte della serie contro Draymond Green, cosa che gli ha permesso di giocare quasi da safety NFL tenendosi a debita distanza da Green aiutando i compagni con raddoppi puntuali, senza timore di pagare dazio contro di lui.
Ha avuto anche impatto contro giocatori più piccoli di lui come Klay Thompson, che si è trovato a marcare in più circostanze sui cambi, rimanendo comunque spesso davanti a lui e mostrando una rapidità di piedi non comune per un giocatore di quella stazza.
Unico neo della serie del camerunense è stato il tiro da 3, completamente sparito dopo gara 1, conclusa con 2-3 da oltre l’arco, ma ritrovato nel momento cruciale, quella gara 6 conclusa con il 50% al tiro da tre. In gara 5, Siakam aveva sbagliato conclusioni aperte, che hanno contribuito ad abbassare le percentuali di squadre a ad affossare Toronto.
Gasol invece è stato quello che Toronto si attendeva che fosse, ovvero il tassello mancante di una squadra già competitiva. Anche Marc ha litigato col canestro in molte circostanze durante i playoff, soprattutto nella serie contro Philadelphia, pur dando sempre il suo solito contributo in termini difensivi e di IQ. Gasol ha avuto un ruolo fondamentale nell’ancorare la difesa dei Raptors durante le finali, aiutando sempre i compagni che venivano portati spalle a canestro in post basso. Nell’altra metà campo, invece, si è riciclato come tiratore da tre in situazioni di pick and pop mantenendo la solita qualità come passatore dal post alto, da cui dirigeva il traffico.
La difesa ha beneficiato del lavoro di squadra che, oltre a possedere eccellenti difensori individuali, ha creato enormi problemi all’attacco di Golden State. Dal canto loro, i Warriors hanno avuto costanti problemi di palle perse (uno dei principali difetti della squadra di Kerr, e non da oggi), oltre ad aver risentito dell’assenza di Durant non tanto in termini offensivi, quando di protezione del ferro e di spacing, tutt’altro che ottimale, che ha permesso a Toronto di concentrarsi sugli Slash Brothers senza subire più di tanto gli altri.
La vittoria di Toronto è il giusto premio per una squadra che negli ultimi anni ha sofferto eliminazioni cocenti, ma che non ha mai smesso di migliorarsi, di cercare alternative, anche non convenzionali, e di rischiare sul mercato. Kawhi e l’anello ne sono a testimonianza.