Quella dei free agent si sta rivelando essere un fattore più che mai protagonista in questa estate di NBA. La post season sta regalando emozioni e notizie a raffica come raramente era accaduto. Il continuo via vai di stelle da una franchigia all’altra che sta caratterizzando il mercato NBA rappresenta nuova linfa per quelle squadre che stanno facendo della free agency il loro fattore rinascita. Ma non solo. Le dinamiche in corso da tempo e più che mai in azione adesso stanno provocando una serie di polemiche da parte dei piani alti della lega. Con la volontà da parte dei dirigenti di veder rispettate le regole, pena addirittura vederle cambiate.
ADAM SILVER NON CI STA
Come di consueto la Summer League rappresenta un’occasione nell’immediato post season per fare il punto della situazione fra i 30 proprietari NBA. Un’occasione che quest’anno ha destato non pochi argomenti all’ordine del giorno. Situazioni che riguardano, appunto, la questione free agency.
La conferenza stampa in piena Summer League del Commissioner della lega Adam Silver capita a proposito nell’argomento.
La mia sensazione è che ci sia del lavoro da fare sulla free agency e sulle regole che lo riguardano. Quelli che dobbiamo rispettare sono sempre gli stessi principi di un giusto equilibrio competitivo. Le squadre si mettono in situazioni difficili quando si siedono davanti a un giocatore per conversazioni che avvengono prima dei termini previsti o che non ricadono specificatamente nei termini del contratto collettivo. Il mio lavoro è far rispettare un giusto insieme di regole per tutte le squadre, che siano chiare e che abbiano un senso per tutti. In questo momento non ci siamo ancora.
Un monito per delle modalità d’azione che nel loro insieme hanno negli ultimi tempi destato non poche polemiche. Dall’opinione pubblica ai piani alti della lega appunto.
UN EQUILIBRIO A RISCHIO
L’NBA ha sempre poggiato sulla ferma volontà di creare equilibrio. Dall’equilibrio si genera competitività, da quest’ultima interscambiabilità al potere che crea imprevedibilità e spettacolo. Fattori che vengono messi a rischio da alcune pratiche da parte delle dirigenze delle squadre.
Il passaggio di così tante stelle da una franchigia a un’altra (su tutti i trasferimenti di Kevin Durant, Kahwi Leonard, Paul George) hanno destato polemiche non tanto per il passaggio in sè quanto per le modalità con le quali questi sono avvenuti. È chiaro infatti che, vuoi per condizioni economiche migliori vuoi per maggiore competitività, i campioni decidano di passare all’improvviso da una squadra a un’altra. Ed è proprio questo il punto.
Il focus sta essenzialmente sul sempre più crescente potere decisionale da parte dei giocatori. Con conseguente influenza minore da parte dei team, un tempo cuore pulsante del tifo e oggi “semplice” vetrina nella quale le stelle possano esibirsi. L’eccessiva richiesta di trasferimenti che sta caratterizzando l’NBA è un fattore che crea squilibrio fra le parti nonchè confusione. Con le squadre paganti sempre più subordinate alla volontà dei giocatori di muoversi verso altri lidi. Sia chiaro, la volontà del giocatore ha da sempre rappresentato un fattore non indifferente nel mercato della pallacanestro. Ma mai come oggi.
Abbiamo un contratto e deve avere senso per entrambe le parti. Da un lato, c’è l’idea per un giocatore di avere un contratto con garanzie, dall’altra c’è una squadra che si aspetta che un giocatore rispetti i termini del contratto. Senza entrare nei dettagli, direi che le richieste di trasferimento sono scoraggianti. È scoraggiante per una squadra. È scoraggiante per il pubblico, e non serve molto al giocatore. I giocatori apprezzano la loro reputazione e questo è un problema che deve essere affrontato.
UN MOTO RIVOLUZIONARIO
Quello che sta contraddistinguendo l’NBA è un autentico moto rivoluzionario. Mai come in quest’estate c’è infatti stato un via vai di giocatori del genere. Un fattore decisivo nel discorso competitività della lega, un’arma appunto a doppio taglio nell’analisi del fenomeno.
Da un lato questa frenesia di mercato genera un maggior numero di squadre che si sono aggiudicate top player in vista della prossima stagione, un qualcosa che quindi genera maggiore equilibrio a un primo impatto, ma dall’altro vi è appunto il rischio di vedere le squadre subordinarsi alla volontà dei giocatori, sempre più il punto focale del gioco. Dal collettivo al singolo, in quello che nasce e dovrebbe essere un gioco di squadra nel quale è il team a trionfare nel suo insieme. Verso un rovesciamento di valori che rischia di subordinare lo sport di molti alla volontà vincolante di pochi singoli, volti a guadagni sempre maggiori figli di contratti faraonici che finiscono col fare la differenza.