NBA: gli awards BDP 2019/20

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DPOY

Mentre manca sempre meno al via delle danze in quel di Orlando, l’NBA vuole fare chiarezza su ogni dettaglio lasciato incompleto dal Covid-19. Uno di questi è l’aspetto riguardante i premi stagionali inerenti la regular season parziale. La lega ha deciso che, volendo dare pari opportunità di concorrere ai premi a tutte e trenta le franchigie, le otto gare di conclusione della stagione regolare non verranno considerate per l’assegnazione dell’MVP e degli altri premi. Dunque, i match presi in considerazione per assegnare i riconoscimenti annuali, saranno quelli disputati fino all’11 marzo 2020, ossia quando la competizione è stata fermata. Mentre per quello che concerne gli stats leaders, ovvero i migliori in ciascuna categoria statistica, si continueranno a conteggiare pure i seeding games giocati a Disney World. Ad affermarlo è Shams Charania, che ha pressoché il monopolio di queste notizie, complice anche la sospensione di Adrian Wojnarowski.

Noi ne prendiamo atto e, a maggior ragione, ne approfittiamo per presentarvi i BDP Awards 2019/20, cioè i miei personalissimi premi stagionali, basati sulla sessantina di gare valide, stando all’ultimo aggiornamento. Non entreremo approfonditamente nel merito delle scelte, perché vogliamo che voi ci diate i vostri vincitori, con relative motivazioni.

Most Valuable Player – Giannis Antetokounmpo

Un nome che farà discutere e magari andrà contro al pensiero collettivo, che vorrebbe vedere LBJ con il Maurice Podoloff Trophy. Tuttavia, non premiare la stagione di Giannis Antetokounmpo diventerebbe un torto quasi personale al 34 di Milwaukee. Il greco ha messo su dei numeri che non si vedevano dai tempi del dominio di Shaq. Il più famoso dei Kounmpo Bros ha mantenuto una media di quasi 30 punti ad allacciata di Nike (29,6) e quasi 14 rimbalzi (13,7). I motivi lo aiuterebbero a bissare l’MVP ottenuto lo scorso anno, stanno nella sua capacità di migliorarsi ulteriormente dopo un’annata già importante. I suoi Bucks hanno il miglior record in assoluto di tutta la lega e sappiamo quanto questo incida sul giudizio della NBA sul riconoscimento negli ultimi anni. Inoltre, ciò che maggiormente fa la differenza, è il clamoroso impatto difensivo di Giannis, che è senza dubbio un serio candidato al premio di difensore dell’anno. La statistica che più rende l’idea di questo aspetto è il DIFF%, che non è altro che la differenza tra le medie al tiro di un giocatore marcato da un determinato difensore (in questo caso Antetokounmpo) e le sue medie abituali. In questo dato, The Greek Freak è il migliore della lega, le percentuali dei suoi avversari diretti si abbassano del 9,7% quando lo affrontano, scendendo al 36,1%, anch’esso miglior dato nella lega tra i difensori con più di 40 partite a referto. Infine, non è da sottovalutare l’efficienza nelle prestazioni di Antetokounmpo: spesso coach Bud lo ha utilizzato con il contagocce, per preservarlo in vista dei playoff, e la sua star ha sempre sfruttato il tempo avuto a disposizione. Le impressionanti cifre del capitano degli ultimi All-Star Game (che vede l’altro capitano come suo runner-up per l’MVP) sono state messe su in soli 30,9 minuti di impiego, il minutaggio più basso tra i primi venti marcatori della lega, mantenendo una percentuale dal campo del 54,7%, la migliore tra i primi quarantacinque realizzatori della NBA. In più, nonostante LeBron James stia giocando una pallacanestro clamorosa all’età di trentacinque anni, dimostrandosi uno dei più completi cestisti mai visti su questo pianeta (se non il più completo…) e guidando la lega sotto la voce degli assist, sono del parere che l’età anagrafica non rientri nei parametri per l’elezione dell’MVP. Chiaramente è una cosa estremamente soggettiva e staremo a vedere se la giuria concorderà…

Rookie of the Year – Ja Morant

Chiudendo l’MVP debate, che richiedeva necessariamente un discorso più elaborato, proseguiamo con la nostra assegnazione degli altri premi, che richiedono un ragionamento più breve. A partire dal ROTY (o ROY che si voglia dire), che sembra poter avere un solo padrone, alla luce della decisione presa recentemente. Si tratta di Ja Morant, seconda scelta uscente da Murray State, che già durante la March Madness aveva dato prova del suo effettivo valore. Il futuro, e direi anche attuale, go-to-guy dei Grizzlies, con ogni probabilità si porterà a casa il Rookie of the Year, in virtù dell’annullamento della restante parte di regular season, che ha condannato Zion Williamson, suo temibilissimo avversario, a disputare soltanto 19 partite, a causa dei problemi fisici della prima parte di stagione. Se l’alieno proveniente da Duke avesse avuto l’opportunità di chiudere l’annata, qualora avesse mantenuto i ritmi dell’esordio, avrebbe potuto mettere in difficoltà la giuria, nonostante un campione comunque limitato di gare. Con questa soluzione, l’unica pista percorribile è quella che porta a Morant, è stato di gran lunga il migliore, Zion a parte, dei giovani della classe del 2019, esordienti nell’NBA di quest’anno. Per Ja 17,6 punti e 6,9 assist di media, in 30 minuti tondi a partita e 59 gare totali sul parquet, nel corso delle quali ha dato prova delle sue doti atletiche stratosferiche e della sua verticalità fuori dal comune (citofonare Kevin Love).

Sixth Man of the Year – Montrezl Harrell

Per rompere la monotonia di Lou Williams, anche quest’anno forte candidato all’award, è necessario pescare ancora in casa Clippers per il sesto uomo dell’anno. In una battaglia più combattuta del solito, un po’ come tutti i premi di quest’anno, colui che si meriterebbe la gratificazione più di tutti è Monrezl Harrell. I concorrenti sono di livello, con Dennis Schroeder determinante in scoring aggiuntivo ad OKC e Sweet Lou, già avvezzo a ricevere il Sixth Man of the Year. Tuttavia, Harrell la spunta su entrambi, sul primo per meriti della second unit di LAC, nettamente una delle più impattanti, specialmente sul record positivo della seconda squadra (in ordine di graduatoria) di Los Angeles. Mentre, stavolta sarebbe davanti al compagno di squadra, poiché è riuscito ad eguagliarlo in termini offensivi e può far valere il suo ruolo di difensore d’elite. Nelle 61 delle 63 sfide di RS giocate è uscito dalla panchina, mantenendo medie di 18,4 punti e 7 rimbalzi in 27,4 minuti. Dietro, invece, è stato colui che ha subito più sfondamenti in tutta l’NBA (30), insieme all’altro specialista Kyle Lowry, oltre ad essere stato il terzo in assoluto per box out totali e di media a rimbalzo (5,8 per partita).

Most Improved Player – Bam Adebayo

Se i Miami Heat sono una delle sorprese positive di quest’annata, fin qui, non è esclusivamente merito dall’arrivo di un leader come Jimmy Butler, ma è anche frutto della definitiva esplosione di Bam Adebayo. Il prodotto di Kentucky, scuola quasi sempre sinonimo di professionisti validi, ha finalmente messo in mostra quanto fatto notare nei suoi due primi non appariscenti anni nella lega. Anche in questa scelta ha fatto la differenza la fase difensiva, insieme al globale miglioramento di Adebayo, testimoniato da ogni voce statistica, che lo renderebbe una scelta ragionevole per il MIP. Ha incrementato il suo fatturato in termini di punti (+7,3), quasi raddoppiandolo rispetto al 2018/19 (da 8,9 PPG a 16,2), di rimbalzi (+ 3,2) e, soprattutto, di assist (+2,9). Adebayo si è evoluto in un centro da doppia doppia di media, con 16+10 arrotondando per difetto, che è diventato anche un affidabilissimo passatore, i 5,1 assist di media sono lì a testimoniarlo. Il lungo degli Heat è risultato più incisivo nella metà campo difensiva, aggiungendoci dettagli importanti: è il migliore per box out a rimbalzo per partita (6 ogni match), oltre ad essere il terzo nella manifestazione per screen assists, con 5,2 di average, che sarebbero il conteggio dei blocchi vincenti che hanno portato ad un canestro dal campo. Senza scordarsi che è aumentato pure il suo coinvolgimento nei gameplan e nei possessi di Spoelstra, lo dimostra l’aumento dello usage di Bam rispetto alla scorsa annata del +5,1%, che adesso lo fa attestare al 20,8%, segno di evidenti miglioramenti, che siano i migliori del campionato?

Defensive Player of the Year – Anthony Davis

Un capitolo sempre molto complesso e difficile da analizzare è quello che riguarda il DPOY. Un premio che negli ultimi due anni è finito nelle mani di Rudy Gobert e che quest’anno è incerto come gli altri. Immaginando uno scenario in cui Giannis viene premiato come MVP, difficilmente sarebbe realizzabile l’accoppiata con il Defensive Player of the Year, un’impresa riuscita soltanto a Michael Jordan ed Hakeem Olajuwon. Per questo motivo, provando ad entrare nella testa della giuria di votanti, possiamo presupporre che si cerchi di premiare l’ottima cavalcata dei Lakers, che se restassero senza riconoscimenti a fine stagione, probabilmente farebbe alquanto rumore. Perciò, partendo dal presupposto che nel caso in cui vincesse Antetokounmpo non avrebbe rubato nulla, la nostra scelta ricade su Anthony Davis, uno che ha un certo tipo di responsabilità su entrambe le metà campo in California. AD è il migliore nelle loose ball recovered, sostanzialmente nel fiondarsi sulle palle vaganti, una stats maxata dalle tante stoppate messe a referto da The UniBrow. Difatti, l’ex Pelicans è secondo, appaiato a Brook Lopez, per stoppate a partita, con 2,4 (considerando solo giocatori con più di 40 gare giocate), stessa posizione occupata nella graduatoria dei migliori contestatori di tiri da tre punti (4,7 a match), con lo stesso filtro applicato. Infine, è superiore a Giannis, ma non a Gobert, il numero di tiri avversario complessivamente contestati (12,7 per game).

Coach of the Year – Nick Nurse

Una scelta un po’ particolare e forse meno gettonata del solito, quella che ci riserviamo di fare per il nostro COTY. Sul fatto che bisogna dare atto al lavoro di Bud e Vogel sulle panchine delle dominatrici delle due Conference non ci sono dubbi, ma chi è arrivato appena dietro ad entrambe per record è riuscito ancora a farci stupire. Nick Nurse dopo questa stagione si afferma tra i top degli head coach attuali della NBA. Il canadese ha guidato i suoi Raptors verso un’impresa ancora più difficile del Larry portato in bacheca lo scorso anno, cioè quella di confermarsi e, in un certo senso, migliorarsi, nonostante l’addio della propria stella trascinatrice. È vero che a fare la differenza fu un Kawhi Leonard con la playoff mode attivata, ciò non toglie che Toronto nelle 64 gare pre-stop abbia fatto registrare una percentuale di vittorie del .719 (46-18), superiore, seppur con 18 match mancanti, al .707 (58-24) della stagione che era valsa il primo titolo della storia del Canada. La banda di Siakam e Vanvleet ha finito a marzo con 3 vittorie di vantaggio sui Celtics, in una posizione estremamente favorevole, che adesso gli consentirebbe di affrontare una tra Brooklyn, Orlando e Washington. E poi, oltre ad evitare lo spauracchio Bucks fino alle eventuali finali della Eastern Conference, si è arrivati davanti a corazzate come la stessa Boston, Miami, Indiana e la deludente Philadelphia. Una squadra che ha sentito la mano del proprio infermiere… lo conferma la seconda striscia vincente in trasferta più lunga del 2019/20, un picco di 10 W in fila lontane dalla Scotiabank Arena. La miglior difesa del campionato con soli 106,5 punti concessi in media ai propri avversari.

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