Te ne vai come non fosse niente, come non fossi te. Te ne vai quando non c’è più niente, più niente di me.
Esistono giocatori divisivi, polarizzanti, che non possono lasciare indifferenti. Vuoi per il carattere, vuoi per il talento quasi mai corrisposto all’equilibrio, vuoi per la costante sensazione che siano una miccia pronta a esplodere. I classici atleti che, se stipendiati dalla tua squadra del cuore, ti fanno palpitare come solo pochi hanno saputo fare. Idolatrati beniamini, ricoperti dall’amore viscerale di tutti i fans più accaniti. Ma se, in una delle svolte clamorose della carriera, decidono di tradirti per passare al nemico, stai pur certo che lo faranno nella maniera più atroce possibile. E vederli sul parquet con una maglia diversa da quella per cui parteggi farà male. Tanto male. Reietti colpevoli, macchiati eternamente per non aver saputo onorare l’amore incompiuto. Odi et amo catulliano.
Esistono giocatori che, a prescindere dai risultati ottenuti, è invece impossibile che lascino un cattivo ricordo dietro di sé. La scia che segue le loro dipartite è costantemente segnata dal rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. La colpa, però, non verrà mai imputata a loro, anzi. Saranno i primi oppressi da compatire quando, ormai troppo tardi, si renderanno conto che ormai non è rimasto più nulla da fare se non abbandonare la nave che, salvandoli dal naufragio, li ha traghettati verso il porto sicuro del rispetto e della riconoscenza. Ma il momento di sventolare il fazzoletto bianco sopraggiunge. Inevitabile. E non si sa chi stia versando più lacrime nel mare del rammarico. Gordon Daniel Hayward. Eroe e vittima.
LA CAMPANA DELLA STORIA
Te ne vai come ci fosse un altro, come se ti stesse già aspettando, come se esistesse qualcun altro uguale a me.
Se uno sceneggiatore volesse portare sul grande schermo una storia romantica riguardo il Gioco, non sapremmo se consigliargli questa colonna sonora. Ma sarebbe un folle a non scegliere come sfondo costante della trama lo Stato dell’Indiana. Dove il basket giocato, rispetto alla ricerca spasmodica dei decorativi kitsch e dei lustrini più lucenti, profuma di torta di mele appena sfornata in un’uggiosa mattinata domenicale d’autunno. Gordon è lo stereotipo del cestista del Midwest: bianco, atletismo non spiccatissimo ma rispettabile, fondamentali elegantissimi, carattere tranquillo e modi da rampollo di stirpe nobiliare, capelli troppo lunghi per essere catalogati nella categoria fashion. Insomma, il ragazzo che vorresti si fidanzasse con tua figlia. Non è un caso che, da adolescente, Hayward faccia parlare di sé quasi di più per le doti con la racchetta da tennis in mano piuttosto che per il mellifluo rilascio della palla a spicchi. Fortuna vuole che, su insistenza del padre, Gordon opti per concentrarsi esclusivamente sulla pallacanestro, regalando al Basketball State per antonomasia un’altra icona da porre nel cassetto dei ricordi eterni. I successi liceali attirano su di lui le attenzioni dei maggiori college della nazione ma Hayward, figlio prediletto dell’Indiana, accetta la corte di Brad Stevens, sbarbato trentaduenne capoallenatore di Butler, ateneo tanto ricco di storia quanto povero di risultati e possibilità di investimento rispetto ai maggiori programmi collegiali del paese. Nelle due annate a Butler, Hayward si afferma come uno dei prospetti più interessanti di tutta la Division I, portando i Bulldogs a un passo dall’impresa storica nel 2010. Già. A un passo. A un soffio. A 7 cm, secondo Sport Science.
Al John Lucas Oil di Indianapolis (dove, altrimenti?) Butler, dopo una cavalcata trionfale culminata con la vittoria in semifinale contro Michigan State di coach Izzo (“In un certo senso ho adorato quella squadra, tranne per il fatto che ci ha battuti”: detto dal vecchio Tom, vale ancora di più), giunge all’atto conclusivo del torneo NCAA. Di fronte la corazzata Duke guidata dal pino da Mike Krzyzewski, guru del basket collegiale americano, ex allenatore di Team USA e cognome più copiaeincollato della storia del web. La battaglia è fisica e mentale: dopo essere andato corto con la tripla, Hayward ha l’ultima possibilità per portare il titolo per la prima volta nella bacheca di Butler. La preghiera lanciata da metà campo tiene col fiato sospeso tutti gli spettatori all’arena, al vicinissimo campus di Butler e davanti agli schermi di tutta America. Il finale perfetto per la cavalcata trionfale della Cenerentola del ballo.
No. La carriera di Gordon non è conosciuta per essere associata all’aggettivo “vincente”. Né, purtroppo, a quello “riconoscente”. Se glielo domandaste, probabilmente risponderebbe che il sorriso dei suoi quattro figli vale molto di più di qualsiasi alloro o anello al dito. Ma siamo sicuri che, ripensando a quel 5 aprile 2010, un qualche tentennamento lo scuoterebbe. A sole dieci miglia dal campus dove, di fronte alle sue imprese e alla sua leadership posata ma ferrea, moltissimi avrebbero rinnegato le proprie origini, Gordon ha l’occasione della vita. E, come troppe altre volte in futuro, se la vede sfumare sotto i propri occhi. Il ferro respinge la parabola disperata, negando uno dei canestri potenzialmente più iconici della storia del basket universitario e non solo. Romanticamente sconfitto, Gordon è chiamato a prendere la prima grande scelta dolorosa della propria carriera. Nonostante fosse solo al secondo anno, decide di dichiararsi eleggibile al Draft, lasciando così l’alma mater con due stagioni d’anticipo. Molti scout NBA dubitano che il ragazzo possa ripetere le prestazioni avute sotto Brad Stevens: al piano di sopra, non troverà un allenatore che possa costruire un sistema difensivo e offensivo imperniato attorno alla sua figura. Molti, ma non tutti. A sorpresa, infatti, gli Utah Jazz lo selezionano con la nona scelta assoluta. L’impatto con la Lega è duro ma il ragazzo ha la tempra adatta a sostenere il peso di una franchigia in ricostruzione negli anni post Williams-Boozer-Johnson. Il compianto Jerry Sloan e coach Quinn Snyder, decisamente non gli ultimi arrivati, scorgono in lui un potenziale campione e, pian piano, i miglioramenti di Hayward risalgono in superficie. Nei sette anni a Salt Lake City Gordon raggiungerà livelli da All Star, guidando la squadra mormona alla vittoria della prima serie playoff nel 2017 dopo otto anni di astinenza.