NBA, Atlanta Hawks: araba fenice o Gallo che non fa primavera?

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Fonte: Facebook Danilo Gallinari

Miami Heat. Due volte i Sacramento Kings. Toronto Raptors. Cleveland Cavaliers. Houston Rockets. OKC Thunder. LA Lakers. Le vittime consecutive dei redivivi Atlanta Hawks prima dell’interessantissima sfida di stanotte contro i Clippers non costituiscono certo una prova del nove definitiva e totalmente affidabile, se si vuole valutare l’effettivo impatto di coach McMillan sull’ambiente della Georgia. Solo i primi e gli ultimi affrontati nell’ordine delle 8 vittorie in a row, dato che non si registrava dal 2014, posseggono infatti un record positivo. Inoltre, sia gli Heat che i Lakers sono stati affrontati  in condizioni particolari: la sfida con Miami era la seconda in fila con i beniamini di South Beach, e sappiamo benissimo come in tempo di Covid le doppie sfide tra le stesse squadre regalino solitamente un referto rosa a testa. I losangelini, dal canto loro, orfani di Anthony Davis, sono stati costretti a rinunciare a gara in corso e causa scavigliata, anche all’apporto di un baldanzoso trentaseienne – all’anagrafe LeBron James – che su un campo da pallacanestro sposta ancora qualcosina…

RINASCERE DALLE PROPRIE CENERI

8 in fila per gli Hawks, si diceva. Dove ricercare i segreti della rinascita marzolina dei Falchi? Del calendario abbiamo già parlato. Che l’arrivo contingentatissimo sulle rive del Chattahoochee dei fuoriclasse in occasione dell’All Star Game abbia trasmesso per osmosi parte del talento alla banda McMillan? Ironia troppo facile: sin dalla offseason e dalla free agency era chiaro come Travis Schlenk e la dirigenza avessero messo tra le mani di coach Lloyd Pierce un gruppo con talento, gioventù e potenziale come non se ne vedevano da anni. Eppure, la disfunzionalità e la confusione creata dallo staff del compagno di banco di Steve Nash a Santa Clara (cosa non si fa per tentare di riabilitare la reputazione di un neo-disoccupato…) era sotto gli occhi di tutti. Le capacità offensive dei singoli sono di primissimo livello. Trae Young è la point guard più simile a Stephen Curry che la Lega possieda al momento, legittimato a prendersi tiri con ottima percentuale appena superato il logo di metà campo. John Collins e Clint Capela rappresentano una garanzia di punti e rimbalzi sotto le plance. Le voci di una possibile partenza a fine anno della diciannovesima scelta del Draft 2017 non smettono di rimbalzare: un’ala grande dall’atletismo così spiccato, in grado di aprire il campo grazie a una mano più che discreta, è merce pregiatissima nel mercato moderno. Se in più ci aggiungi la presenza intimidatoria di uno svizzero dall’apertura alare di 225 cm, i problemi nella tua metà campo tendono ad affievolirsi. Nelle ultime stagioni, dopo le annate di Budenholzer e dei 4 All Stars, Atlanta si è impegnata in una potenzialmente fruttuosissima ricostruzione attraverso numerose chiamate al Draft. Di Young e Collins abbiamo già detto; Kevin Huerter, De’Andre Hunter, Cameron Reddish e Onyeka Okongwu sono i prospetti più intriganti scelti dal GM Schlenk. Che sia finalmente giunta l’annata giusta per la loro maturazione?

Fonte: Instagram Atlanta Hawks

Detto ciò, qual è allora il segreto di questi Hawks di marzo? Se si dovesse porre la domanda allo staff medico degli Hawks, la risposta probabilmente inizierebbe con un lungo respiro.  Negli ultimi mesi il bollettino di guerra proveniente dall’infermeria recitava infatti: Huerter 11 partite saltate, Capela 6, Gallinari 12, Bogdanovic 25. Al momento rimangono fuori Reddish e Dunn, la cui situazione viene valutata partita per partita, e il lungodegente Hunter. Non si può dire che sia scoppiata nuovamente la salute, ma le rotazioni efficienti sino al mese scorso, nella “City of the Forest”, non erano tanto quelle tra titolari e second unit quanto quelle delle porte girevoli del Medical Clinic. Se si parla di equilibri di stagione regolare e ricerca di massima efficienza, a scapito magari di un playbook spettacolare e variegato, non si può certo dire che la soluzione interna trovata da Atlanta dopo il siluramento di Pierce sia campata per aria. Anzi. Nate McMillan, nelle precedenti esperienze a Seattle, Portland e soprattutto Indiana, ha sempre saputo organizzare al meglio la gestione delle forze in stagione regolare, ottenendo risultati anche oltre alle attese. Uno spogliatoio frenetico, dove i caratteri fumantini dei giovani in rampa di lancio rischiano di entrare continuamente in collisione, necessita probabilmente di una guida salda e sicura. Magari con meno appeal mediatico, più ancorata a canoni tradizionali percepiti lontani dalle nuove generazioni, ma che sappia essere autorevole e autoritaria. No, McMillan e Young non saranno mai compagni di bevute, ma la serietà del nuovo allenatore sembra aver fatto subito breccia nel gruppo. Basti considerare le contingenze che hanno portato alla sua promozione (McMillan faceva già difatti parte dello staff di coach Pierce). Che questo significhi automaticamente una memorabile corsa ai Playoff, anche considerando il passato del coach nativo di Raleigh, non ce la sentiamo di assicurarvelo…

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