Che una trade per Donovan Mitchell fosse imminente, era cosa ormai nota. Che la suddetta avrebbe coinvolto però i Cleveland Cavaliers, era difficilmente preventivabile. Utah continua il proprio percorso di rebuilding che, a questo punto, sembra essere solo all’inizio.
Cleveland, invece, fa un upgrade enorme rispetto a Collin Sexton, proponendosi come seria candidata per lottare per le prime posizioni della Eastern Conference.
Di seguito, i voti (preliminari) all’operazione per entrambe le compagini, in attesa del verdetto più atteso: quello del campo.
CLEVELAND CAVALIERS, VOTO 8/10
Partiamo dal fatto, come detto, che l’arrivo dell’ex Jazz rappresenta un miglioramento istantaneo su Collin Sexton, ormai fuori dai piani dei Cavs e, prima dello scambio, ancora Restricted Free Agent. La squadra guidata da J.B. Bickerstaff è reduce da una eccellente stagione, culminata con 44 vittorie e la sconfitta al play-in contro Atlanta.
Il backcourt che Donovan Mitchell formerà con Darius Garland è certamente molto intrigante da un punto di vista offensivo: stiamo pur sempre parlando di una squadra che ha chiuso la stagione con il 20esimo offensive rating di Lega (111.9 punti su 100 possessi), e che quindi non può che accogliere con entusiasmo un giocatore offensivo del calibro del nativo di Elmsford, New York.
Entrambi i giocatori danno il loro meglio palla in mano e sanno usare il pick and roll in maniera proficua; nella scorsa stagione, Garland ha sfruttato questa situazione di gioco nel 41.6% dei propri possessi offensivi, creando 0.90 punti per possesso nel 68esimo percentile di Lega.
Donovan Mitchell, invece, con una frequenza del 47.5%, ne ha prodotti ben 1.03, nell’88esimo percentile NBA. I Cavs hanno chiuso al 22esimo posto per frequenza di utilizzo del pick and roll, con una produzione per possesso di 0.86, 27esimo percentile: l’arrivo di Mitchell potrebbe dare un bel boost da questo punto di vista.
Va da sé che, se uno di loro ha la palla in mano, avrà idealmente le attenzioni della difesa. Entrambi potrebbero aver bisogno di giocare maggiormente off the ball, ad esempio “accontentandosi” di qualche tripla sugli scarichi in più. Nella stagione 21-22, Darius Garland ha tirato 2.8 triple in catch and shoot, convertendole con il 35% abbondante. Mitchell, invece, 3.5 di media con il 34.6%, cifre molto simili.
Difensivamente, il duo è tutt’altro che irresistibile, soprattutto da un punto di vista fisico (sono entrambi piuttosto bassi). Tuttavia, il reparto esterni e lunghi dei Cavs può tranquillamente ovviare a questo problema o, per lo meno, ridurne gli effetti negativi.
Un giocatore che potrebbe tornare molto utile su entrambe le metà campo è Ricky Rubio, ginocchio permettendo. Lo spagnolo è un playmaker nel senso più tradizionale del termine e, con lui, sia Mitchell che Garland potrebbero dedicarsi esclusivamente alla creazione per se stessi. Rubio, poi, è un attaccante estremamente discontinuo, ma anche uno di quelli che, se inizia a trovare qualche canestro, si può accendere per prestazioni offensive sopra la media.
Quel che sappiamo per certo è che, nella scorsa stagione, la coppia – molto ben assortita – Rubio/Garland ha fatto molto bene: quando i due hanno condiviso il campo, Cleveland ha prodotto un offensive rating di 112.8, un defensive rating di 96.6 e un +16 di net rating, il migliore tra le coppie con almeno 200 minuti in campo assieme. Se l’ex Barcellona saprà tornare ai livelli dell’anno scorso, i Cavs (e il nuovo arrivato) potrebbero beneficiarne non poco.
Resta solo da capire, cosa non irrilevante, dove questa mossa potrà portare la squadra dell’Ohio. Indubbiamente, l’obiettivo è lottare per il fattore campo al primo turno di playoff, ma poi? Nella prossima stagione è difficile pensare che i Cavs possano puntare a più di una semifinale di Conference. Ovviamente, la giovane età degli elementi chiave del roster fa sì che la squadra sia più attrezzata sul lungo periodo. E a questo punto, fare previsioni diventa difficile.
Bravo comunque il GM Koby Altman a dare un futuro a una squadra che sembrava persa in un eterno rebuilding post-LeBron (parte seconda).
UTAH JAZZ, VOTO 7/10
Valutare la trade dal punto di vista dei Jazz è, per forza di cose, più complicato. La dirigenza ha iniziato a smobilitare dopo aver visto che il core attuale non era in grado di raggiungere determinati livelli: a ciò, aggiungiamo il fatto che i rapporti tra Donovan Mitchell e Gobert, ovvero i due giocatori principali della squadra, sembravano essere ormai arrivati ai minimi termini. Tra le due trade, Danny Ainge si è portato in casa una barca di scelte al primo giro. Limitandoci a quella per Mitchell, Utah si è garantita tre prime scelte non protette nel 2025, 2027 e 2029: decisamente impossibile stabilirne il valore ora, in una Lega in cui 4-5 anni sono un’era geologica differente. Numericamente, stiamo comunque parlando di ben 13 prime scelte tra il 2023 e il 2029.
Per quanto riguarda i giocatori, Collin Sexton può replicare esattamente quanto fatto a Cleveland: scollinare i 20 punti a partita in un contesto perdente. Ai Cavs, comunque, il giocatore aveva anche fatto più o meno terra bruciata attorno a sé per comportamenti non proprio da professionista (forse ricorderete lo sfogo in campo di Kevin Love, proprio nei confronti del giocatore). Si diceva, inoltre, che il coaching staff avesse un occhio di riguardo per il giocatore, cosa non apprezzata dal resto del gruppo.
Lauri Markkanen è un lungo moderno e con ottime mani, ma il dubbio nei suoi confronti è sempre stato il livello di agonismo. Ochai Agbaji, invece, è un rookie che può già dire la sua tra i pro grazie alle sue doti difensive e al suo tiro da 3: durante la sua carriera collegiale a Kansas, Agbaji ha tirato con il 37%, con un massimo del 40% nell’ultima stagione.
I Jazz sono ancora invischiati in un rebuilding iniziato sì molto bene, almeno a livello di asset accumulati, ma ancora da completare. Giocatori come Conley, Bogdanovic e Clarkson sono totalmente inutili in un contesto del genere, e rischierebbero di far vincere alla squadra più partite di quante voglia vincere: aspettiamoci ulteriori trade da qui alla deadline di febbraio.
L’obiettivo di Utah (ma anche di San Antonio e Oklahoma City, a dirla tutta) è uno, e si chiama Victor Wembanyama. Tutto il resto passa in secondo piano.