NBA, Los Angeles Clippers: gli eterni irrealizzati

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Clippers

Grandi aspettative a Los Angeles, dalla sponda Clippers, vogliono dire storicamente solo una cosa: grandi delusioni. I Clippers hanno un’infelice fama di società tristemente abbandonata al proprio destino di eterni irrealizzati. Vuoi perché nella loro storia di oltre 50 anni non hanno mai vinto un titolo (o almeno raggiunto le Finals… Clippers, fate qualcosa!), o vuoi perché ci hanno abituato a stagioni ottime culminate poi in deludenti prestazioni ai playoff, capaci di distruggere in poche gare tutte le aspettative e le speranze che si erano create in un’intera stagione. Per un motivo o per l’altro, insomma, i Clippers sono abituati a deluderci ma nonostante questo, non abbiamo ancora smesso di credere in loro.

Forse, però, è solo una sorta di compassione per il “piccolo” team di L.A., da sempre nell’ombra dei cugini giallo-viola con cui condividono l’arena in maniera quasi frustrante, dovendo giocare sotto gli stendardi dei titoli a cui loro non sono nemmeno mai andati vicino.

Una tradizione infelice

La serie di delusioni della seconda franchigia di L.A. (seconda cronologicamente, e non solo) ha radici forti. Il miglior piazzamento della franchigia risale al 2021, quando hanno perso le finali di Conference contro i Suns di Devin Booker e Chris Paul, contro i quali Paul George si era trovato “da solo”, a causa di un infortunio al ginocchio subito da Kawhi nella quarta gara della serie contro gli Utah Jazz, al termine della quale lo stesso Kawhi aveva affermato che sarebbe stato bene. Spoiler alert: non fu così. Leonard finì per saltare il resto della serie e dei playoff, oltre all’intera stagione 2021-22.

Il 2021 però non fu il primo anno in cui i cuori dei tifosi di L.A.C. vennero spezzati. In epoca recente, specialmente fra il 2012 e il 2017, le delusioni ai playoff si accumulavano una dopo l’altra: i famosi Clippers della Lob City (Chris Paul, Blake Griffin, DeAndre Jordan e Jamal Crawford su tutti) uscirono tre volte al primo round e tre volte al secondo, nonostante il roster spettacolare -nel vero senso del termine- che gli valse appunto il nome di “Lob City”, in virtù del loro attacco che spesso finiva per concludere al ferro con dei pirotecnici alley-oop da Paul a Griffin o da Paul a Jordan.

La storia che si ripete

Tuttavia, c’è una ragione su tutte per la quale la squadra non è riuscita a trovare la strada del successo, almeno per quanto riguarda gli ultimi anni, e quella ragione sono gli infortuni. Avere una coppia del calibro di Paul George e Kawhi Leonard è un lusso che in NBA poche squadre possono permettersi. Immaginate inoltre di aggiungere a questa coppia di fenomeni, altri due giocatori del calibro di Russel Westbrook e James Harden, due ex-MVP e futuri membri della Hall Of Fame. Un lusso unico, appunto, che però svanisce nel momento in cui in ben quattro stagioni, le partite giocate assieme da Leonard e George sono state soltanto 142 fra stagione regolare e playoff. L’unica nota positiva è che nelle gare in cui entrambi i giocatori sono stati in campo i Clippers hanno vinto ben 96 partite.

Rimane però il “problema” non trascurabile dello stato di salute delle due stelle principali, la cui cartella clinica negli ultimi anni non da molta fiducia. Nel 2021, al primo anno di PG ai Clippers, Leonard si è infortunato a playoff in corso e ha saltato l’intera stagione seguente, mentre nel 2023 è stato il turno di George, che a causa di una distorsione al ginocchio rimediata in stagione regolare contro i Thunder, è stato costretto a saltare il primo (e ultimo) turno di playoff dei Clippers contro i Suns, nel quale anche Leonard ha preso parte solamente alle prime due gare della serie, saltando le altre per un problema al ginocchio.

Le speranze del presente

Ora, però, è il momento di guardare avanti per i Clippers, per cercare di sperare ancora nella riuscita di questo progetto ormai decennale.

Se già nella scorsa stagione i Clippers avevano aggiunto un tassello importante al loro roster con l’arrivo di Westbrook, in questo inizio di stagione la franchigia con base a Los Angeles ha fatto un altro passo, verosimilmente definitivo, verso l’all-in totale: dopo una telenovela infinita (dei cui esiti vi abbiamo già parlato qui) i Clippers si sono aggiudicati anche James Harden, il cui arrivo però non è stato dei più felici. Il Barba ha perso le prime 5 gare giocate con la sua nuova squadra, che pareva non essere in grado di trovare la soluzione ad un rebus complicato da risolvere per coach Tyronn Lue.

Secondo P.J. Tucker, che si è sfogato col giornalista Sam Amick, il problema fondamentale della squadra deriva dalla natura del gioco del basket: ovvero il fatto che la palla è una soltanto.

L’elefante nella stanza

Quello che da subito è risultato palese a tutti è che i Clippers dovranno trovare il modo di limitare i minuti in campo assieme per Westbrook e Harden, due giocatori che per le proprie caratteristiche tendono a tenere molto il pallone e la cui coesistenza in campo è quindi pressoché impossibile (esperimento già fallito agli Houston Rockets).

Un altro problema da risolvere per il coaching staff sarà quello dello stabilimento delle gerarchie da rispettare, soprattutto nei momenti che contano. Kawhi Leonard è verosimilmente il miglior giocatore a disposizione di Tyronn Lue ma l’attacco non sembra costruito attorno a lui (segna i suoi punti, ma per larghi tratti delle gare non è considerato, anche se dopo lo spostamento di Westbrook in panchina la situazione sta leggermente cambiando): Kawhi è il giocatore più efficiente della squadra e sarebbe opportuno che la gerarchia di Lue ne tenesse conto. George è ovviamente il secondo violino ed è una risorsa di valore inestimabile per i Clippers, come ha dimostrato anche nella gara vinta contro i Golden State Warriors proprio grazie a lui.

Lue e il suo staff dovranno quindi riuscire a compiere una gestione del minutaggio ottimale, possibilmente che preveda la presenza costante in campo di almeno due dei 4 top player, che siano una guardia e un’ala.

La (prima) soluzione

Dopo un primo periodo di assestamento -più che legittimo per un roster del genere- le cose sembrano essere leggermente migliorate. Lo stesso Harden aveva preannunciato al suo arrivo che avrebbero avuto bisogno di una decina di partite per oliare i nuovi meccanismi e far funzionare le cose. Ora, dopo più di 10 partite dal suo arrivo, le cose non sono certamente rose e fiori a Los Angeles, ma di certo la situazione non è nemmeno tragica come si prospettava dopo le 5 gare di cui parlavamo prima.

Per il momento, Lue e il suo staff sembrano aver trovato una prima soluzione al problema della coesistenza fra Harden e Westbrook: quest’ultimo, “salvando” Lue dalla responsabilità della scelta, si è proposto di partire della panchina, guidando di fatto la second unit in tutto e per tutto. Un sacrificio non indifferente per un giocatore del calibro di Russ, che è passato da 34 minuti a partita a 27.

Seppur i Clippers siano in leggera ripresa (7 vittorie nelle ultime 10 partite) Coach Lue non ha nascosto le difficoltà avute fino ad ora nell’allenare questa squadra:

È difficile dire a 4 futuri Hall of Famers di giocare in modo diverso quando lo fanno da così tanto tempo, e questa sarà la sfida per gli allenatori per tutto l’anno

L’ultimo tassello

Spetterà quindi ad Harden l’onere e l’onore di vero e proprio playmaker della squadra (il tassello mancato fino ad ora, oltre alla salute), a cui sarà richiesto di mettere in moto la coppia George-Leonard nel migliore dei modi (per i diffidenti, l’anno scorso Harden è stato il miglior assist-man della lega). Per fare ciò sarà importante che sia proprio l’ex-Sixers ad avere la palla in mano e guidare l’attacco, così da riuscire a nascondere anche le sue lacune da rivedibile giocatore lontano dalla palla e la sua riluttanza nel prendersi tiri smarcati.

I prossimi mesi saranno importanti per consolidare al meglio le rotazioni della squadra, in attesa magari dell’arrivo di un ultimissimo giocatore che possa privare uno fra Leonard e George della necessità di adattarsi al ruolo di ala grande nella metà campo difensiva, non per mancanza di capacità ma in un’ottica di ottimizzazione dei risultati e delle energie dei due.

Come abbiamo detto i Clippers dispongono di una quantità di talento unica, che potrà aiutarli a decidere parecchie partite, specialmente quelle sul filo per cui una giocata potrebbe risultare decisiva. L’arrivo di Harden impreziosisce ulteriormente l’arsenale offensivo dei Clippers e lo ha dimostrato sigillando la vittoria contro i Rockets con una tripla segnata con fallo degna del barba dei tempi migliori.

Perché crederci

Fino ad ora la fortuna è stata dalla loro parte, quanto meno (tocchiamo ferro) sul piano della salute: i big-two hanno giocato in tutte le partite da inizio stagione e stanno giocando il maggior numero di minuti insieme da quando si sono uniti a Los Angeles, già il 52% dei minuti totali collezionati assieme la scorsa stagione (tocchiamo ferro di nuovo che è meglio).

Col favore della sorte dalla loro, i Clippers godono di una quantità di talento che in NBA non ha nessun’altra squadra ed è per questo che scegliamo di credere in loro per l’ennesima volta: per convincerci che i nostri eroi abbiano ancora i loro superpoteri e che avere talento sia ancora importante, sperando che questo voglia dire qualcosa… possibilmente il primo titolo della storia per gli eterni irrealizzati Los Angeles Clippers. Che è meglio toccare ferro lo abbiamo già detto?

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