NBA: New Orleans Pelicans contro tutto e tutti

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Il 26 gennaio 2018 sembrava che il mondo fosse crollato ancora una volta addosso ai New Orleans Pelicans. L’infortunio al tendine d’Achille subito da Boogie Cousins apriva scenari apocalittici per la franchigia, sia in campo (per ovvi motivi, quando viene a mancare uno dei tuoi due migliori giocatori, e il 90% è costituito un manipolo di mestieranti), sia dietro la scrivania.
Cousins sarà free agent in estate: va riconfermato o lasciato andare, senza però grosse possibilità per la squadra di sostituirlo, vista la situazione non rosea a livello di salary cap?
Da quel giorno, i Pelicans hanno il decimo miglior record di Lega e ottime possibilità di qualificazione ai playoff, nel marasma della Western Conference. Vediamo come, partendo dal fattore principale.

MVP 

Con buona pace dei vari candidati (Harden su tutti), le cifre di Anthony Davis in questi ultimi due mesi sono meritevoli quantomeno di una discussione. Le sue medie recitano 31 punti (primo in NBA col Barba), 12.5 rimbalzi (quarto), 3 stoppate (primo), ed anche il 61% di true shooting.
È vero che lo usage rate di AD è parecchio alto (29%), ma è altrettanto vero che Gentry non si è mai sbizzarrito nel dare un gioco offensivo imprevedibile alla propria squadra. È per questo, ad esempio, che molto raramente vediamo giochi creativi per sfruttare quella incredibile macchina da canestri che è il numero 23: Davis è il quarto destinatario dei passaggi dei propri compagni, dopo Holiday, Rondo e Boogie.
Sicuramente le due opzioni più cavalcate per lui sono il pick&roll e le situazioni di post up, che può sfruttare con un giro e tiro o portando il proprio avversario vicino a canestro. È settimo per punti a partita segnati in questa circostanza (4.3) pur non trovandocisi costantemente (15% di frequenza di utilizzo del p&r come rollante).

Qui blocca per l’esterno lungo la linea di fondo (in questo caso Holiday). L’ex Sixers riceve il pallone da Rondo per poi connettersi con Davis, sfruttando anche l’uscita di Aldridge verso il pallone.

 

Ha sviluppato anche una buona chimica con Rondo. Basta uno sguardo perché l’ex Celtics peschi il movimento di Davis, che si libera così dal marcatore.

Altrimenti, come detto, si va spalle a canestro, situazione che Davis esplora più frequentemente (19% a partita) con ottimi risultati: 0.98 punti per possesso, sesto in NBA. Una volta in questa situazione, usa spesso il giro e tiro o uno step back per separarsi dal marcatore, sfruttando le ottime doti di ball handling, retaggio del suo passato giovanile da guardia. Quando però il suo marcatore diretto gli concede chili e centimetri, allora lo porta vicino a canestro, come vediamo qui contro Mbah-a-Moute:

 

Dalla posizione di post up, poi, Davis può fare appello alle sue buone qualità di passatore e trovare un tiratore appostato oltre l’arco come conseguenza di un raddoppio, come fa qui con Darius Miller, cambiando lato del campo:

Per quanto riguarda l’altra parte del campo, non si può dire che AD sia un ottimo difensore. Grande stoppatore sì, dote che gli permette di recuperare sul difensore anche quando la posizione non è ottimale, ma non necessariamente un giocatore in grado di mettere la museruola agli avversari.
L’ex Kentucky non ha mai amato fare il centro e negli anni passati lo ha più volte ribadito. Per quanto sia un mostro di fisico e atletica, Davis non ha mai prediletto fare a sportellate sotto canestro e il suo gioco offensivo ne è una dimostrazione. Oltre ad avere la tendenza a saltare sulle finte – ma questa è la croce dei grandi stoppatori, che vivono sempre coi piedi per aria – Davis concede oltre cinque conclusioni al ferro e il 53% al tiro nel pitturato.

In generale, la stagione di Davis è di altissimo livello e, mettendo un attimo da parte il record di squadra, merita di essere preso in considerazione per i primi posti dell’MVP per come sta conducendo la squadra forse al di sopra delle proprie possibilità, visto il risicato talento a disposizione di Gentry.
Va anche detto che le aggiunte arrivate dal mercato stanno dando una grande mano ai Pelicans per rendere nel modo in cui stanno rendendo.

 

DOUBLE FACE

Dopo il problema fisico di Boogie, il GM Dell Demps ha cercato subito di porre rimedio per quanto fosse possibile, anche se le alternative decisamente non abbondavano. Per questo i Pelicans, un po’ per disperazione (Greg Monroe, tagliato dai Suns e diventato free agent ha rifiutato la destinazione) e un po’ per opportunità, hanno messo sotto contratto Emeka Okafor, letteralmente sparito dai radar NBA tra infortuni vari. L’ex Bobcats e Hornets è rimasto fuori dalla Lega per quattro anni e nove mesi prima di accettare la chiamata della sua ex squadra – ma con un nuovo nome – e rimettersi in gioco.

L’ex prima scelta assoluta ha un gioco offensivo piuttosto risicato (si limita a tap-in su rimbalzo d’attacco o alley-oop), ma sta dando un insperato apporto difensivo: chiaro, le qualità sono sempre state evidenti, ma dopo praticamente cinque anni lontano dalla NBA e dal basket di alto livello, era più che lecito avere qualche dubbio.
Ha il miglior net rating e defensive rating di squadra con + 6 e 100 punti rispettivamente,  concedendo il 49.4% al ferro su poco più di nove tentativi a partita.

Il quintetto base con Rondo-Holiday-Moore-AD-Okafor ha il miglior net rating (+ 12.5) tra le lineup che sono scese in campo per almeno 80 minuti in questa stagione, e il merito non è solo di Okafor, ma anche di Jrue Holiday.
L’ex Philadelphia è un eccellente giocatore in entrambe le metà campo, per le scelte di tiro, le letture e l’ottima difesa. I 19 punti di media sono un career high, così come la efg% di 53. Inoltre, per via della presenza contemporanea di tre play sul parquet, sta a lui prendere in consegna il più pericoloso tra gli esterni avversari, come ad esempio nella partita contro Boston.

Purtroppo nella clip si vede solo la parte finale, ma in questo possesso la difesa di Holiday sul rookie dei Celtics è stata eccellente, sia nel passare sopra il blocco, sia nel difendere spalle a canestro, costringendo Tatum ad una tripla molto contestata.
Nella partita contro i Celtics, Holiday ha concesso il suo avversario 12 punti su 9 tiri tentati in 38 possessi in cui si sono affrontati.

 

Niko Mirotic, invece, è stato acquistato dai Bulls per dare punti facili dalla panchina, migliorando le spaziature, che latitano un po’ quando Rondo e Okafor sono in campo e aumentando la pericolosità della squadra da oltre l’arco.

In questa situazione vediamo NOLA giocare quello che si chiama “Spain p&r”, così chiamato perché, molto intuitivamente, viene giocato più volte dalla nazionale di Scariolo. Si tratta di un doppio blocco, per il portatore di palla e a sua volta anche per il bloccante. In questo caso Tolliver si trova a metà strada tra il taglio a canestro di AD (per aiutare Drummond rimasto incagliato nel blocco) e il dover uscire su Mirotic – il suo marcatore designato –  oltre l’arco. Tolliver reagisce comprensibilmente in ritardo uscendo sull’ex Chicago, che lo batte dal palleggio e segna.

Nel complesso NOLA ha una squadra con poco talento, escluso Davis, il che è un’ulteriore testimonianza della stagione che l’ex Kentucky sta affrontando. Difficile sapere se basterà a tenerlo in città dopo il 2020, data della scadenza del suo contratto. Molto passa anche dalla riconferma di Cousins, altra questione su cui ci sarebbe da dibattere. Intanto, la conditio sine qua non è avere un buon rendimento in campo. E, contro molti pronostici e anche contro la logica, i Pelicans vanno avanti trascinati dal loro capobranco, in attesa di capire che ne sarà del suo e, soprattutto, del loro futuro.

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