Non potrebbe esserci un intro meno epico per una serie che, nei suoi primi cinque episodi, ha regalato tutto ed il contrario di tutto. Di certo la non familiarità con questi turni di playoff ha fatto sì che le due squadre, al miglior risultato da molti anni a questa parte, stiano giocando senza risparmiarsi, con tutto quello che hanno e forse anche di più. La conseguenza è una serie in cui gli equilibri sono sottili e, per due squadre che giocano sostanzialmente una pallacanestro simile, in cui chi riuscirà a venire a capo dei momenti topici potrebbe trovare la strada più breve nella finale.
I 4 SUPPLEMENTARI
E’ stata e sicuramente potrebbe essere lo spartiacque della disputa. Portland quando ha dalla sua Lillard e McCollum in serata di grazia può fare la differenza, ma non è un caso che la tripla decisiva l’abbia messa Hood. Sicuramente l’assenza di Nurkic ha costretto i Blazers a cambiare equilibri in corsa, ma se il buon Seth Curry riesce a dare una mano in attacco (anche se in gara 4 non è bastato imitare il fratellone) e Aminu continua a mettere insieme numeri di un certo peso, Portland ha le sue armi da giocarsi. Trovarsi però di fronte una Denver che ha saputo reagire dopo 68 minuti che avevano potuto seppellire sogni e speranze, non è cosa facile. Se di Jokic si parla sempre, il lavoro di Murray e soprattutto di Paul Millsap sta facendo salire in maniera esponenziale le credenziali dei ragazzi di coach Malone, che non vivono e muoiono con le sole percentuali dall’arco.
Denver sicuramente paga sul groppone le 7 fatiche del primo turno contro San Antonio, ma ha già dimostrato di avere tempra e carattere per fronteggiare le difficoltà. Portland, invece, dal suo punto di vista può ben dire di aver perso una possibilità naufragando in una serie di palle perse e forzature che, nel terzo quarto di gara 4, l’hanno portata a perdere il fattore campo conquistato con merito. Inerzia che quindi torna a favore della testa di serie numero 2 che, quando inizia ad imbroccare la serie giusta, è davvero difficile da spegnere…
DIFFERENZE E CERTEZZE…
Guardando ai Blazers, è difficile non soffermarsi su quanto l’impatto dei due esterni faccia la differenza sullo score finale. Di certo l’accoppiamento tra Kanter e Jokic toglie ai ragazzi dell’Oregon la possibilità di avere un terminale offensivo alternativo che porti punti facili. La scelta quindi è stata quella di avere un quintetto più mobile, con l’inserimento in ruoli atipici di Hood, Harkless e Turner, per provare ad allargare il campo e cambiare in difesa. I Nuggets hanno sì imperniato il loro gioco su un pivot capace anche di andare in tripla doppia con le assistenze, ma soprattutto vivendo di una pallacanestro di ritmo, ben possono compensare alle mancanze di uno dei loro tiratori. Basti pensare che Craig e Barton, decisivi al primo turno, nonchè gli ondivaghi Harris e Beasley, possono arrivare a folate sì, ma non incidere – specie con prestazioni negative – sul risultato finale.
Resta intonso solo un ultimo tassello: il ritmo di gioco. Alzando percentuali e numero dei possessi, è sembrato sempre che la squadra dell’Oregon avesse qualcosa in più, sia in termini di numeri che di qualità. Nonostante le due sconfitte, le scelte dei Blazers sono sempre andate nella direzione di una imposizione della propria pallacanestro a più riprese, con una difesa di aiuti e recuperi per rompere le fila avversarie senza snaturarsi o forzare i cambi. I Nuggets sono stati a tratti letargici, quasi in attesa di un colpo pesante che dovesse arrivare a scuoterli. In gara 4 di certo la garra dopo un primo tempo ben giocato ma che comunque li vedeva sotto e non di poco, ha permesso agli uomini di Malone di rialzare la testa, iniziare a cercare soluzioni più semplici e che, a conti fatti, sono state fondamentali. Ma fin quando si potrà pagare l’assenza di quel killer istinct che avrebbe regalato a Denver e ai suoi tifosi delle gare più tranquille? Ai prossimi episodi della serie per le risposte…