NBA: Paul George, malessere incompreso

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Clippers
Grafica di H3ml0ck

Scusa, Paul George. Mille volte scusa. Magari non si arriverà a compilare il modulo ufficiale presentato sui social da Serge “Air Congo” Ibaka dopo la prestazione monstre di gara-5, ma una giustificata grazia gliela dobbiamo tutti riconoscere. In primis chi scrive, colto da amore spasmodico per ogni cosa riguardante il Basketball State per antonomasia, conosciuto ai più come Indiana, ancora scottato per la sua controversa partenza dell’estate 2017. Tutti quegli insulti non se li merita, ora che la sua fama, attraverso i numerosi meme sui social lo precede, offuscando la bellezza e l’eleganza di uno dei maggiori talenti del basket contemporaneo. Quanto superficialmente e banalmente tutto il mondo a spicchi giudica il basket di Paul George è sotto gli occhi di tutti. Non è bastata un’annata da fuoriclasse in maglia Clippers. Tutti hanno ancora negli occhi il saluto di Lillard e “Pandemic P”. Al diavolo la memoria corta e tutte le sue storture.

ROLLERCOASTER

Se si volesse paragonare la carriera del nativo di Palmdale, altro che montagne russe. Un continuo saliscendi di condizioni fisiche, prestazioni sul campo e considerazioni extra-cestistiche. Mai un momento di quiete o stabilità. O tutto o niente, nessuna media via. Sin dai tempi di Fresno State le sue abilità di scorer puro passano colpevolmente in secondo piano, tanto che nel suo ruolo vengono draftati 3 giocatori prima di lui (Gordon Hayward ancora ancora, ma l’accoppiata Evan Turner-Wesley Johnson fa rabbrividire…). PG viene selezionato alla 10 dai Pacers, increduli che un tiratore così atletico sia passato sotto silenzio da nove franchigie prima di loro. Gli Hoosiers hanno già iniziato il processo di ricostruzione post Reggie Miller, imperniando il proprio sistema attorno ai polpastrelli e, purtroppo, alle ginocchia di Danny Granger. Già al secondo anno nella Lega, tuttavia, le gerarchie sono abbastanza chiare: è Paul George la stella della squadra. Granger rimarrà a roster sino al 2014 ma con un ruolo via via più marginalizzato, consentendo alla stella californiana di abbagliare col massimo splendore. Il supporting cast è di primo livello: George Hill, David West, “Big” Roy Hibbert e, rullo di tamburi, Lance Stephenson, orchestrati dalle prudenti mani di coach Vogel, costituiscono insieme a George uno delle squadre più equilibrate della Lega, arrivando anche a concludere stagioni regolari col miglior record tra le 32 squadre. Spettacolari no. Appariscenti neppure. Ma tremendamente solidi ed efficaci. Quali i problemi, allora? Uno, tanto semplice da individuare quanto insormontabile da affrontare. Lebron Raymone James Sr.

2012. 2013. 2014. 2017. Il Prescelto di Akron, dominatore e despota della Eastern Conference tanto a Miami quanto a Cleveland, ha incrociato sovente i propri destini ai playoff con Indiana, uscendone sempre vincitore. Non deve essere stato facile per PG. Compagni di squadra diversi, avversari differenti, contesti mutevoli. Ma sempre un’unica nemesi. La stessa. Ottenuto il premio come giocatore più migliorato (orribile traduzione di Most Improved Player) nel 2013, l’estate 2014 pare proprio quella della consacrazione per Paul. Lo status di stella della Lega è assicurato da quattro apparizioni consecutive alla postseason. Non è più un semplice tiratore. Non lo è mai stato, un semplice realizzatore. George è di più: la combinazione tra gambe così atletiche e mani così morbide, unite a una faccia tosta che non manca di essere esibita nei momenti clou, fanno di lui la grande speranza di portare il primo titolo nella bacheca Pacers dai tempi della ABA. Neanche della NBA: ABA. Si vocifera addirittura la possibilità di affiancargli uno scontento Anthony Davis in uscita da NOLA: sogno bagnato mai concretizzatosi, ma quanto sarebbero stati bene insieme quei due… La spedizione a stelle e strisce in partenza per i Mondiali in Spagna conta in primis sui suoi istinti offensivi e le sue letture difensive magistrali per riaffermare la propria egemonia dopo l’esaltante sfida con le Furie Rosse in quel di Londra. L’amichevole in famiglia di Las Vegas è una delle ultime occasioni per vedere all’opera Team USA prima di imbarcarsi verso la penisola iberica. Tutto tranquillo, per le numerose famiglie a palazzo? Nemmeno per sogno.

Vi risparmiamo le immagini o il video. O le avrete già viste o non vi consigliamo, date le alte temperature, di ricercarle per la prima volta in questa occasione. Male, troppo male. Un colpo duro, troppo duro. Non solo per la tibia e il perone fratturati, ma anche per l’animo di PG  e le speranze di un futuro vincente per Indiana. George tornerà a vestire la maglia blue and gold, ma non sarà mai quello di prima. La sensazione è che, lasciando che le penetrazioni chiuse prepotentemente al ferro siano solo un flebile ricordo in maglia #24, George si senta frenato da una paura psicologica piuttosto che fisica. Neanche il cambio di numero verso il #13, quasi a voler scongiurare la scaramanzia, sortisce particolari effetti. Dopo un anno e mezzo dal suo ritorno, Paul decide di fare le valigie, non lesinando frecciatine a Pritchard e al resto della dirigenza Pacers.