Con la free agency NBA ormai alle spalle – l’unico big in attesa di firma è Davis coi Lakers, ma per loro è solo questione di tempo – e il draft concluso, le squadre hanno ormai delineato il loro assetto per la stagione che partirà tra poco meno di un mese. Di seguito ci sono un po’ di pensieri sparsi su squadre e giocatori che si sono mosse maggiormente sul mercato.
IT’S STILL AN L.A. THING
Quello che ci ha detto la free agency è che l’Ovest sembra essere un affare per le due squadre di Los Angeles. Gli Warriors hanno dovuto subire il colpo dell’infortunio di Klay Thompson, motivo per quale sono passati da candidata ad una finale di Conference a dover lottare per entrare nei playoff (che comunque quest’anno sono allargati alle prime dieci classificate di ciascuna conference). I Nuggets hanno perso uno degli artefici della splendida cavalcata dello scorso anno, Jerami Grant, finito ai Pistons (di cui parleremo dopo); il suo posto è stato preso da JaMychal Green, ala grande o centro in quintetti piccoli che negli anni si è scoperto tiratore da tre (38% abbondante lo scorso anno) ma che non ha la mobilità difensiva, l’atletismo e la versatilità di Grant.
I Lakers sono stati la squadra più aggressiva di questo mercato assieme probabilmente agli Hawks; gli arrivi di Schröder – via trade – Matthews, Harrell e Gasol compensano le perdite di McGee, Howard, Bradley, Rondo e Green. I nuovi Lakers sembrano poter avere una identità maggiormente offensiva. Lo scorso anno, il loro attacco si è inceppato spesso per colpa di spaziature non ideali e la mancanza di creatori dal palleggio: Schröder e Harrell dotano la squadra di Vogel di due attaccanti ampiamente sopra la media che possono togliere peso dalle spalle dei big 2 soprattutto in stagione regolare dove, se le cose andranno per il verso giusto, i Lakers possono tranquillamente finire con il primo record ad Ovest. Ai playoff la questione sarà diversa; Gasol e Harrell hanno limiti di età e integrità fisica (il primo) e abilità difensive (il secondo) che potrebbero creare qualche grattacapo ai gialloviola, ma per ora è ampiamente prematuro discuterne.
Per quanto riguarda i Clippers, detto della perdita di Green e Harrell, il vero colpo è stato l’arrivo di Serge Ibaka dai Raptors, pagato tramite la Mid-Level Exception (lo stesso metodo usato dai loro concittadini per strappargli Harrell). Rispetto al nuovo giocatore dei Lakers, lo spagnolo ha caratteristiche diametralmente opposte, sia in attacco che in difesa; è sicuramente un lungo dal gioco più moderno che darà una grande mano ai Clippers, scottati dal pessimo rendimento di Harrell nei playoff.
In secondo luogo, ma non meno importante, almeno a livello salariale, la conferma di Marcus Morris, che si intascherà 64 milioni in 4 anni. Morris è un competitor feroce – spesso oltre il limite – e un eccellente difensore in post, il migliore in NBA, fino a prova contraria: l’anno scorso ha concesso 0.46 punti per possesso agli avversari in questa situazione, primo tra i giocatori con almeno un possesso difensivo a partita di questo tipo. E se in stagione regolare a L.A. sembrava aver smarrito il tiro da tre (31%), nei playoff lo ha ritrovato con gli interessi (47.5% su 4.5 tentativi a partita).
Ora sta ai Clippers cercare di fare quello che non hanno saputo fare l’anno scorso: provare a mettere da parte gli egoismi e far funzionare una squadra a cui di certo non manca il talento.
AQUILE SUL MERCATO
Hawks di nome e di fatto. Atlanta, forte di oltre 40 milioni liberi sul salary cap, si è portata a casa Bogdan Bogdanovic, dopo la clamorosa trade fallita tra Sacramento e Milwaukee, Danilo Gallinari e Rajon Rondo.
Atlanta si trova in una situazione quantomeno curiosa, con un core giovane (Trae Young, Huerter, Reddish, Hunter, Collins e il rookie Okongwu) e veterani come Capela (sul mercato?) e i tre nuovi arrivati dalla free agency. A questo punto, sembra acclarato che gli Hawks vogliano puntare ad una qualificazione ai playoff assolutamente alla portata, con dieci posti disponibili. Ma questa improvvisa fretta nel voler costruire una squadra competitiva a cosa è dovuta? Bogdanovic è un ottimo attaccante che toglierà responsabilità a Young col pallone in mano. Gallinari è un tiratore e un attaccante abile a punire i mismatch spalle a canestro, ma in difesa è sotto media. Di Rondo abbiamo negli occhi gli splendidi playoff, ma sappiamo tutti che quel rendimento non tornerà per vari motivi. Inoltre, l’ex Celtics e Lakers non è mai stato un buon mentore, anzi.
Queste mosse potrebbero pagare i loro dividendi nel medio-breve termine, ma nel lungo?
IL NUOVO VECCHIO CORSO DEI PISTONS
Dopo un draft NBA fatto di scelte solide e sensate, i Pistons del nuovo GM Troy Weaver si sono tuffati di testa nella free agency, e tutto quello che di buono si poteva dire di loro è stato spazzato via in un amen. Jerami Grant, con il suo contratto da 60 milioni in tre anni, sarà verosimilmente la stella della squadra assieme a Griffin, sempre che non venga fagocitato dai suoi stessi problemi fisici (probabile); l’ex Nuggets voleva avere più responsabilità offensive dopo aver mostrato nella una enorme crescita da questo punto di vista: a Detroit le avrà, a suo rischio e pericolo. La firma di Mason Plumlee per 25 milioni in tre anni fa di lui verosimilmente il centro titolare (no buono): per completare il reparto e non farsi mancare nulla, è arrivato pure Jahlil Okafor.
In compenso, nemmeno Christian Wood è stato risparmiato dall’epurazione che ha coinvolto gran parte del vecchio roster. Wood è stato la nota più lieta della stagione dei Pistons dopo un lungo girovagare tra contratti a termine in NBA, tanta G-League e un po’ di Cina. Evidentemente a Detroit non si sono fidati sufficientemente di lui, una condizione a cui l’ex UNLV è abituato.
Ci sono tutti gli ingredienti perché Grant ne metta 20 a partita nella peggiore squadra NBA.
LA TOPPA DI MILWAUKEE
Non è decisamente stata la free agency dei Bucks. O meglio, non lo è stata per i motivi che si aspettavano loro. Bene lo scambio per Jrue Holiday che fornisce playmaking, creatività con il pallone in mano e ottima difesa. Meno bene lo scambio in sign and trade che avrebbe dovuto portare Bogdanovic in Wisconsin, saltato perché…il serbo non sapeva nulla di quanto le due dirigenze stavano facendo. I problemi sono stati due. In primis, la volontà del giocatore, scontento dell’affare che stava per andare in porto perché convinto che qualcun altro gli avrebbe dato più soldi (cosa poi successa). Secondo, le trattative dovrebbero iniziare allo scoccare della mezzanotte del giorno della free agency; ho usato il condizionale perché molte di esse, soprattutto quelle riguardanti nomi grossi, iniziano già giorni prima per poi essere ufficializzate nel momento giusto. I dettagli della trattativa Milwaukee-Sacramento, però, sono trapelati ben prima, segno che qualcosa già bolliva in pentola. Per questo la NBA ha voluto dare inizio ad un’inchiesta per capire cosa sia effettivamente successo tra le due squadre.
Come se non bastasse, i dirigenti di Milwaukee ne hanno combinata un’altra, che ha avuto ben meno risonanza mediatica, ma che non può dirsi meno tragicomica della vicenda Bogdanovic. A Pat Connaughton è stato offerto un biennale da 8 milioni, con player option dopo il primo anno. Peccato che l’ex Blazers non potesse firmare contratti di quel tipo, non avendo ancora sviluppato i propri Bird rights e avendo solo la versione early dei suddetti, i quali non prevedono alcun tipo di eccezione per uscire prima dal contratto. Senza dilungarci troppo nei tecnicismi, il contratto più economico che Milwaukee poteva offrire al giocatore è quello che è stato firmato, e che vale 16 milioni per un totale di tre anni. Connaughton verrà pagato un milione in più all’anno rispetto all’offerta iniziale, e un anno in più. Non la migliore delle figure per una dirigenza NBA che sta cercando di convincere il proprio giocatore franchigia a rimanere dov’è ancora per tanti anni.